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Classici – Dario Fertilio documenta sul ”Corriere della sera” la lunga serie di rifiuti autorevoli del miglior Joyce, quello dell’“Ulisse”. Da Virginia Woolf a Fantozzi e Coelho, passando per Armando Plebe, Raffaele La Capria, Oreste del Buono e un non altrimenti noto Roddy Doyle. Dev’essere un classico estivo. C’erano una volta gli ossicini che sparivano in un bicchiere di Coca Cola, per animare le cronache estive, ora c’è l’Olimpiade, e anche l’“Ulisse”. Meglio, no? Però l’“Ulisse” si legge sempre con piacere. Si traduce anche, ora a cura di Celati, per la quarta volta.
Editoria – Si rilegga “Il giardino dei Finzi Contini”. O “Gli indifferenti”. O uno qualsiasi dei libri di Parise. Non si andrebbe oltre la prima pagina. Se si fosse un redattore editoriale, di quelli che fiutano il libro dalle prime righe. La qualità dei “Finzi Contini” non si vede dalla prima pagina, né quella degli “Indifferenti”. Anzi, il numero degli slow starter è incalcolabile, gli editori che dicono che si regolano dalla prima pagina dicono scemenze. E sono nomi, Eco, Calasso, lo stesso Ammanniti dalle tirature milionarie, che felicemente riempiono le librerie - che ogni libraio attende con trepidazione.
Poi ci sono le sortes vergilianae, il libro “scoperto” aprendolo a caso. Nulla di male, quella del redattore è, alla fine, una professione onesta, E, come tutte, vuole oggi un po’ di glamour – di battute, di understatement (lo dico e non lo dico), di esagerazioni.
È vero però che in casa editrice non si legge, si va a naso. Ma questo naso ha poco a che fare con l’opera in sé in attesa di essere pubblicata. Per metà è un agente, per la narrativa straniera, che vende titoli che già hanno avuto successo fuori, bloccandoli col resto del catalogo. E questo spiega perché gli scaffali delle librerie sono riempiti di romanzi tradotti, costati molto di più di un’opera prima italiana, che nessuno si sogna di leggere. L’altra metà va a fiuto (a naso) col mercato: opere trendy, di generi alla moda, opere da scuole di scrittura, con annesso agente letterario, nel quadro di “progetti” o “pacchetti”, e rilanci garantiti industrialmente (anticipazioni, prefazioni, recensioni, promozione in libreria) di autore già noto e\o affermato. Sono queste le prime “impressioni” che contano in casa editrice, e le ultime.
La soluzione redazionale è un autore garantito. O “ciò che vuole il pubblico” – il trend è generalmente il successo occasionale di un certo genere, questa estate per esempio il sexy. Col supporto naturalmente delle redazioni culturali dei giornali, dove non c’è più il critico accademico né quello militante, ma un interfaccia del redattore editoriale.
È un pieno che è un vuoto. Non sono molti i casi, ma nemmeno pochi, di testi inediti leggibili, e anche migliori di quelli pubblicati. Magari dello stesso scrittore. Un nuovo mestiere si potrebbe delineare in questo vuoto per chi non conosce nessuno, sia autore affermato o esordiente: il primo crei una sorta di agenzia di collocamento, cui i secondi possano accedere per un fee, non necessariamente in denaro. Un servizio reso, un segno di affetto, un contributo all’innovazione in letteratura. Gli editori sono soprattutto pigri.
Intercettazioni – È l’unica voce di spesa pubblica in aumento, documenta l’Eurispes. E bisognava pensarci: la letteratura italiana contemporanea, fatta dal buco della serratura, è pubblica. Come tutto ciò che fa il mercato in Italia, che sempre sa di sovietico.
Sul “Fatto” del 2 agosto Marco Travaglio, nella sua rubrica “Per conto terzi”, dice che le intercettazioni fanno bene a tutti. Ai mafiosi e ai corrotti perché li condanniamo, agli onesti perché rendiamo loro giustizia. “La categoria dei «non indagati» è troppo vasta”, dice Travaglio: “Chi sarebbero i soggetti «terzi» da tutelare? Tuti i non indagati o solo le persone che non c’entrano nulla con le vicende di cui s’indaga, ma si ritrovano intercettate casualmente sul telefono della persona coinvolta e intercettata?” E fa l’esempio del macellaio che telefona a Napolitano, diverso da Napolitano che risponde a una chiamata di Mancino, l’ex presidente del Senato.
“Comicità pura”, dice lo stesso Travaglio. Anche a questo era da pensarci: il vaudeville come genere di ritorno.
Pasolini – Il suo “Io so” voleva dire che non sapeva. La precisazione di Matteo Cerami alla “Stampa” è solo da segnalare per il tono seccato della stessa – da parte di un congiunto stretto del poeta, autore con Mario Sesti nel 2005 del film documentario “La voce di Pasolini”. Come avrebbe potuto? Non l’avrebbe nemmeno voluto – il poeta non è un questurino.
Il film di Cerami e Sesti documentava anche l’ultimo progetto di Pasolini, intitolato provvisoriamente “Porno-Teo-Kolossal”, per evocare il rifiuto totale in cui il poeta ha vissuto la sua ultima vita – “Porno-Teo-Kolossal” sarebbe seguito a “Salò Sade”. Di cui trace ben solide ha lasciato in “Petrolio”, poi pubblicato postumo, documentariamente ben significativo, anche se la scrittura è di getto e non rivista.
letterautore@antiit.eu
giovedì 9 agosto 2012
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