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Allegoria – “A venticinque anni, sfogliando l’edizione completa delle opere del Tasso, ci imbattemmo in un volume che conteneva la spiegazione delle allegorie racchiuse ne “La Gerusalemme liberata”. Ci guardammo bene dall’aprirlo. Eravamo amanti appassionati di Armida, di Erminia, di Clorinda; saremmo stati privati di troppo piacevoli chimere, se quelle principesse fossero state ridotte a null’altro che semplici emblemi”. Nella riedizione-rifacimento del 1776 del “Diavolo innamorato” Jacques Cazotte, uomo di principi (si farà decapitare, tra i primi, dalla Rivoluzione che non accettava) anticipa e critica la critica del testo parigina che ha tenuto banco nel secondo Novecento. Con una ragione semplice, condivisibile.
Dante – In quanto narratore, è vittima della sua propria abilità allegorica. Di trattati che si affannano a sviscerarne i sensi. Contorti, confusi, inutili.
Il racconto di avventure Dante affida al fraudolento Ulisse - lui ne ha di ben reali. Con ironia? A virtute s’appella in Dante il solito bugiardo Ulisse. L’ironia in Dante è un tema.
Falsi – Jean Hardouin, gesuita, storico, filologo, a forza di dubitare scovò a fine Seicento il segreto della letteratura: che i classici sono falsi dei copisti. Compresa la patristica. Con eccezioni: Omero, Erodoto, Cicerone, mezzo Virgilio, la “Storia Naturale” di Plinio.
Hardouin scoprì pure che Dante riflette le società segrete ereticali di cui era membro.
Feltrinelli – “Gli scaffali che mai spiazzano la mente benpensante”: Corrado Ocone di malumore aggredisce gli “store Feltrinelli” su “Lettura” di domenica 12. Ma è vero: sono diventati il tempio del politicamente corretto, quasi di partito.
Identità – Le identità plurime o scoppiate sono un gioco e non un fiasco, meno che mai della contemporaneità: Pirandello è un tragediatore siciliano, uno che si diverte a vedere gli spettatori e i lettori imbizzarrire di fronte agli ostacoli che lui solleva.
Già Ulisse s’inventava con gaudio le identità, o Giove – per non dire Dio, per non essere sacrileghi, che è molti dei nella Bibbia. La coerenza è del ragionamento e non della persona, è una sintassi. La persona è felice d’essere libera, o il cane, il gatto.
Personaggio – Si vuole spesso farne uno dell’autore. In America sempre – compresi quelli che si sono rifiutati alla spettacolarizzazione: Salinger, Pynchon. Che i suoi autori vuole pugili, lavapiatti, ladri, assassini, tagliaboschi, scambisti ai treni, minatori, taglialegna, marinai, naufraghi, gigolò, venditori di frigoriferi e aspirapolvere, e invece ha tutti, indistintamente, sempre colti.
Qualcuno però ne è vittima - anche tra i migliori, Hemingway, Foster Wallace, i tanti finiti nell’alcol. Non sopportano di non essere “all’altezza” del personaggio.
Romanzo – Si vuole da un secolo di vita vissuta. Memoriale, diaristico, confessionale. La confessione, si sa, esce dalla testa di sant’Agostino, per il quale Dio sta sopra di noi ma va cercato dentro di noi. Ma ha una parentela. È Giobbe l’antenato della confessione. Come in Giobbe, la confessione ambisce a risuonare della viva voce dell’autore. Questo si vuole la confessione: parole a viva voce. Che, come un romanzo, ci trasportano in un tempo immaginario, creato dall’immaginazione, in circostanze anche immaginarie. Il romanzo ha origine nella lanterna magica, nella soffitta abbandonata, nella natura vergine. In un tempo diverso da quello della vita. Quando il tempo del romanzo è quello della vita - Proust, Joyce – si ha una confessione.
Ma dire Giobbe è dire pena, e dunque dev’essere il romanzo-confessione costituito da lamenti? Più propriamente sarebbe l’uscita dal sé in fuga, come buttarsi fuori dall’auto impazzita - si esce da sé perché non piace ciò che si è. Sant’Agostino si confessò per convertirsi, per levarsi vizi che non amava. Rousseau per esibirsi, è un Casanova sentimentale.
Viaggio – Ulisse, che è viaggiatore più che casalingo, come in Joyce e Omero, in Dante si perde – Dante ne sa sempre di più. Più spesso il viaggiatore è viaggiato. Per la storia dell’io frammentato, e la stanchezza.
I viaggiatori s’acquietano in Ulisse, che, nonché baro, è parto letterario. Della letteratura come teatro, a fine catartico, o al gusto del vino d’annata, consolatoria. Ma l’ “Odissea” non è credibile, fa perno su una donna che aspetta un uomo, che non è mai successo.
L’ebreo errante è, come il cabalista, un bugiardo, anche se ha di che narrare.
Ulisse è un eroe del non ritorno, si perdeva le strade. Mentre il viaggio presuppone il ritorno. Tutti i generi di viaggio: il turistico naturalmente, di avventura, di guerra, di emigrazione, fantastico.
letterautore@antiit.eu
giovedì 16 agosto 2012
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