Il 18 luglio 1970 è il quinto giorno, annota il fotoracconto di Fabio Cuzzola, “Fuori dalle barricate”, della rivolta per “Reggio Capitale”. Con barricate al centro della città e blocchi all’autostrada e ai traghetti per la Sicilia. Quel giorno si svolgono i funerali della prima vittima dei disordini, Bruno Labate. Alla presenza di alcuni giornalisti stranieri, ma senza la Rai e senza i giornali italiani.
YouTube ci ha abituato a immagini ben più drammatiche, e tuttavia le immagini della rivolta per Reggio Capitale, riedite due anni fa per i quarant’anni dell’evento, hanno una loro cupa durezza, con gli M113 in città. In una città italiana. Quando i bambini, sul finire della rivolta, si mascheravano per carnevale.
Il sindaco di Reggio nei diciotto mesi della rivolta, Pietro Battaglia (che si farà poi tredici mesi di carcere, sulle opportune denunce di un delinquente “pentito”, prima di essere assolto), un democristiano molto ragionativo, ricorda nell’ultima intervista qui riportata prima di morire, nel 2005, solo scene da occupazione militare. “Ricordo nitidamente le bastonate, le manganellate subite dai giovani di Reggio, e poi, ancora peggio, i ragazzi chiusi nella prefettura, tartassati da botte, e anche da fatti molto ignobili – come per esempio la pipì in bocca”. A opera della Celere, “soprattutto il reparto che veniva da Padova”. E le svastiche sui muri delle scuole dove la Celere era acquartierata: “Svastiche tedesche, simboli di morte, quindi l’odio! Non si trattava più di contenere una rivolta, qui venivano con la mentalità proprio di padroni, di colonizzatori”.
In una rivolta di destra, spiegava “Time”, la rivista americana, le tecniche erano di sinistra, quelle dell’autunno caldo appena concluso: barricate, e scontri con la polizia. Ma gli M113, possiamo aggiungere per esperienza personale, dovevano realizzare qualche anno prima il Piano Solo contro il centro-sinistra, un mezzo molto mobile per l’occupazione delle città. Contro il partito Socialista fu poi “curvata” la stessa rivolta di Reggio. Che invece, dice Battaglia, fu occasionata dal suo proprio partito, la Democrazia Cristiana, divisa e confusa, incapace di elaborare un progetto regionale che riequilibrasse i pesi e i vantaggi nel territorio.
Un’appendice è doverosa per il recensore. Reggio si pose ai margini della Regione Calabria appena creata – in quel 1970 si votavano per la prima volta i Consigli Regionali – è lì è rimasta: indolente, isolata, parassitaria. Incapace di investire sulle miniere naturalistiche, archeologiche e amministrative di cui è dotata. Isolata dal suo territorio, che ignora pervicace. Senza una sola iniziativa di rilievo, poiché solo il “posto” conta.
La protesta si concluse col “Pacchetto Calabria” del governo: capitale a Catanzaro, università a Cosenza, quinto centro siderurgico a Gioia Tauro. Progetto poi sostituito, per i vincoli europei alla produzione di acciaio, con una megacentrale a carbone pulito dell’Enel. Che il Procuratore Capo di Palmi, Cordova, di destra dichiarata, avverserà con ogni mezzo – ventuno imputazioni contro il presidente dell’Enel Viezzoli, poi prosciolto. Del progetto Gioia Tauro resta il porto, fieramente avversato dal “Corriere della sera” ma utilmente trasformato nel più grande e efficiente interporto container del Mediterraneo.
La prima carica brutale della polizia, che fece degenerare le manifestazioni fino ad allora molto pacifiche, fu decretata il 14 luglio 1970 da un commissario di polizia che si chiamava Lombardo, ed era di Giojosa Jonica.
Fabio Cuzzola, Fuori dalle barricate, Città del Sole, pp. 119 ill. + dvd € 12
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