lunedì 20 agosto 2012

Secondi pensieri - 112

zeulig

Facebook – È l’epitome del vero-falso: cosa è falso, e come, per quanto sfuggente.
Suona falso di nome e di fatto, questo libro delle facce. Un palcoscenico per esibizioni sfrontate con velleità da circolo chiuso. La snobberia di massa: una serie d “gruppi” aperti-chiusi, che ne menano vanto, e anzi si esibiscono.
Doppiamente falso, in quanto il circolo è esclusivo per essere pubblico - pubblicitario. Senza contare che, come appare dalle vicissitudini di Facebook nel mercato, le biografie e le reti (amicizie) sarebbero per lo più false, quindi un social network falso al terzo grado. Sempre più Facebook-Fakebook, il mercato dei falsi.

È - sarà stato – il mondo degli avatar, come nei contemporanei film di successo. Un mondo dei “doppi”, alla Jean Paul. Soggettivi e non imposti, come un’ubriacatura.

Ironia – Pazienza e ironia Lenin voleva virtù del rivoluzionario. La rivoluzione si vuole dunque fredda.

Niente regge all’ironia, per prima l’ironia.
Anche per la nostalgia di ritrovarsi personalmente dietro la corazza dell’ironia.

L’ironia dissecca, è vero. Sottolineata è censoria, o ridicola.

L’ironia non è innocua - anche se, insegna Kant, noioso è solo lo stupido. Montesquieu, condannando la tratta degli schiavi con l’ironia, al libro XV, capitolo 5, dello “Spirito delle leggi”, la prolungò di un secolo. Verso il 1770 i bianchi discussero in Giamaica di lasciare liberi i mulatti, se di padre inglese. Uno che era contrario lesse Montesquieu e gli altri si convinsero: si convinsero che la schiavitù era necessaria.

Religione – Nolte, lo studioso del fascismo, non lo dice ma lo intende, se si legge correttamente il suo faticoso tedesco: senza religiosità nulla societas. È quanto diceva Quinet, e a suo modo Robespierre. E prima ancora “Belle” Van Zuylen, sposata in Svizzera de Charrière, beccando Diderot. All’interlocutore ateo, che si stupisce “come una donna con un po’ d’istruzione e d’esperienza di mondo osi ancora parlare dei dieci comandamenti”, arguendo che “senza la religione la morale non verrebbe meno”, la rossa olandese, lo spirito più libero del Settecento, risponde: “Per verificarlo ci vorrebbero tre o quattro generazioni e un intero popolo di atei. Diderot, se è un gentiluomo, lo deve forse a una religione che, in buona fede, lui ha sostenuto fosse falsa”. Si capisce la deriva chiesastica del comunismo bolscevico.

La libertà moderna è all’origine religiosa. Il pluralismo, recente categoria politica di Schmitt, è opera del cristianesimo: chiesa e stato, papa e imperatore, sinodo e dieta, nobiltà e arti. È cristiana la nozione di società universale o città di Dio. La chiesa si porta a esempio di organismo autoritario chiuso. Ma non è possibile, mai regime autoritario è durato tanto. Quindi, o la chiesa ha l’occhio benevolo di Dio, oppure è un ente democratico. Che è più vero. Perfino D’Annunzio l’ha intuito, in epoca positivista, e detto conciso: “Il dogma dell’Ottantanove, che al popolo appartenga la sovranità degli Stati, era già insegnato, accettato, praticato, nelle comunità cristiane. Era anzi specialmente propugnato dai gesuiti”.

La politica come mezzo a un fine più alto è del cristianesimo romano, che l’ha realizzata con qualche intoppo, ma ne ha creato gli statuti, che oggi si chiamano democrazia. A lungo il messaggio cristiano fu antipolitico, il perdono e l’amore del prossimo figurando estranei alla società. Ma a partire da sant’Agostino e per dieci secoli almeno l’unico luogo di cittadinanza in Europa fu la chiesa. È creazione della chiesa la sovranità popolare, e lo è lo Stato, sia esso un bene o un male. Con una distinzione fra pubblico e privato che ha prodotto danni gravi, ma minori di quelli prodotti dal suo rovesciamento: le necessità della vita essendo la sfera privata e la religione quella pubblica. La campagna rinnovava la classe sacerdotale o dirigente, fino ai gradi alti, la nobiltà feudale riservandosi l’esercito e la ministerialità. La Riforma non scaturì da uno spirito più moderno, ma era in buona parte una reazione del fondamentalismo cristiano, contro l’unità di natura e grazia, o unità del mondo.

Storia – Si ripete. Non noiosa ma nota, è una lenta decadenza. O veloce, agitata. Ma continua, dopo il tempo iniziale che ne fu il compimento. È la storia della caduta: il tentativo di tornare alle origini saltando le frustrazioni, opera principalmente degli stessi uomini che la storia fanno. Nietzsche, che è storico della storia, cambia spesso idea, nelle “Inattuali” e non solo. Muore con Dio pure il passato, se è un mondo rispetto al quale l’uomo non può nulla. Aveva esordito con “la storia appartiene all’uomo attivo”. In tre modi: “In quanto è attivo e ha aspirazioni, in quanto preserva e venera, in quanto soffre e ha bisogno di liberazione”. Ma presto, e anzi al contempo, pensa e dice altro. Critica la storia esemplare: “Il rischio della storia monumentale è di essere asservita a grandi impulsi”. E critica la storia: “La storia, in quanto sia al servizio della vita, è al servizio di una forza non storica. Con un pizzico in eccesso di storia la vita si frantuma e degenera, e alla fine la storia stessa si perde”.

Cos’è la storia allora, e la filosofia? Per Nietzsche è genealogia, cioè sperma e sangue, quindi acqua. Per l’uomo è l’anagrafe, che può dire bugie, per esempio se certifica l’“ariano”. Oppure, dice, è biografia – come la sua, che non porta a nessun posto? Nietzsche anche nelle escursioni correva, e finiva per ansimare. Il suo interprete Derrida spiega che le origini sono da intendersi nel “dopo”, anzi nel “postumo”: si è quello che si diventa. Acqua, cioè. Insomma, dipende dallo stadio postumo. “Il genealogista ha bisogno della storia per esorcizzare la chimera delle origini, come il buon filosofo ha bisogno del medico per esorcizzare l’ombra dell’anima”, dirà Foucault. E non c’è ritorno, non si può riportare il tempo indietro, neanche di un attimo, la storia è attaccaticcia.
Camus invece vuole “i pensieri imperniati sulla storia quelli che più disprezzano il tempo, i suoi effetti, i suoi edifici, le sue civiltà: la loro storia è ciò che distrugge”. Ermetico ma sensato, oggi molto. Se non che senza coordinate, il Nord e il Sud, un passato e un futuro, è il vuoto. Il presente, non diacronico, non sincronico, è il vuoto. Il giornalismo, che narra il presente, si eserciterà sul vuoto, se il presente è un rinvio. Il tempo prevarrà sulla storia, non può non essere, ma a volte bisogna darsi una mossa. “La storia deve essa stessa risolvere il problema della storia”, Nietzsche detta alla fine.
E dunque? Il culto dionisiaco per cui Nietzsche è famoso era popolare all’epoca nel ceto medio, negozianti, bancari, statali. Era domestico, pacificante. È che la storia evapora, e con essa le persone: “Tutto ciò che è vivo ha bisogno di avere intorno una misteriosa sfera vaporosa. Co-me un astro ha bisogno dell’atmosfera, senza la quale s’irrigidisce e inaridisce. Ma oggi si odia l’atmosfera, perché si onora la storia più della vita”. Sbiadisce. “Il senso storico rende passivi e retrospettivi i suoi servi; e il malato di febbre storica diventa attivo quasi solo per smemoratezza momentanea”. E si diverte. “Fare storia è divenuto un impulso al lusso e al consumo”, uno svago per inetti e oziosi, come i quadri al museo.

zeulig@antiit.eu

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