Giovanni
è un signore pakistano di mezza età, benestante al suo paese, dove aveva
allevato un figlio che si è laureato medico. Il giorno dopo la laurea la fotina
del giovane è uscita sul giornale del circondario, con gli auguri. Il giorno
successivo il giovane è stato assassinato. La famiglia di Giovanni è cattolica,
e questo è il motivo dell’assassinio del giovane.
Gli
assassini non sono stati cercati. Giovanni ha protestato col parroco, e poi col
vescovo. Ottenendone parole. Lo hanno tuttavia indirizzato a Roma, a una
parrocchia di ex missionari, che gli hanno trovato un lavoretto. Fa il
garagista, lava le macchine. Abbastanza per un modesto alloggio, “una casetta”,
dice, all’altro capo della città, a Settebagni, e per mantenerci la moglie. Il
garagista gli ha dato una vecchia Panda, e con quella fa i suo andirivieni di
notte con Settecamini, o con l’ospedale dove la moglie più spesso è ricoverata.
La figlia li ha lasciati. Preferisce vivere da sola a Bruxelles.
Al suo
paese Giovanni faceva il contabile, ma qui, come dice lui, gli “manca la
lingua”. Legge e rilegge copie spiegazzate del “Pakistan Times”. Avrebbe voluto
meglio un portierato, ma sua moglie, che avrebbe dovuto aiutarlo nella pulizia
delle scale, si è presto infermata di tbc. L’hanno curata, dentro e fuori il
Forlanini, ma ne è morta. E ora che la moglie è morta ne sta predisponendo il
rimpatrio, con pratiche molteplici e costose, per una tumulazione in patria, a
casa.
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