“Poco c’è mancato che, ingenuo com’è, diventasse uomo di lettere”, astuto, traffichino. L’osservazione casuale, di fronte a Céline a Meudon, in un villino decoroso in collina ridotto a canaio, dello scrittore insonne, inappetente, misantropo, anche con la moglie gentile, che scoppia a ridere alla pubblicazione di “Da un castello all’altro”, è la più interessante di tante altre qui contenute. Poulet, alter ego di Céline, per età, professionalismo (uno medico, l’altro ingegnere) e anarchismo fascistoide, carcerato in Belgio, la sua patria, per collaborazionismo, condannato e amnistiato, autore di vari romanzi e libelli (contro l’amore, la gioventù, l’automobile eccetera), è ricordato per questi “Entretiens familiers avec L.F.Céline”. Incontra più volte Céline nel 1957 e pubblica i colloqui nel 1958 - il Libro, tradotto a cura di Massimo Raffaeli vent’anni fa, tradotto da Giuseppe Guglielmi, è ripubblicato con una nuova introduzione del curatore.
Ingenuo, chi l’avrebbe detto? Ma si spiega l’eccezione Céline. Rispetto a “Balzac, Flaubert, Zola, Proust, Bernanos”, che “hanno idee politiche, rispettano il potere costituito, amano tanto la mamma”, Céline invece dice: “Il sacro non c’è. C’è il vero e il falso, tutto qui. Per non essere falso, come tutti, io sono andato al di là del vero, ho forzato la verosimiglianza”. Anche nei libelli, tanto più scomposti perché Céline “vedeva” la guerra, dalla trincea, senza la superficialità dell’uomo di lettere elzevirista, opinionista. Le “Bagatelles” dopotutto sono “un massacro”.
La prima impressione di Poulet, che ebbe la possibilità di leggere il “Viaggio” in bozze, da autore già affermato di Denöel, è anche di un autore comico. Questa impressione dirà alla rilettura errata, ma è la più persistente. Non minore il giudizio critico, di Céline come “d’uno scrittore fuoriclasse e fuorilegge, d’un personaggio la cui ragione d’essere consiste nello strappare al sociale il primato della scrittura, recuperando (nell’epoca della prosa-prosa) la tradizione del poeta delirante e vaticinante”. Con una marcata “componente ossessiva”: Céline si ripete – ma la guerra è ossessione, per i sopravvissuti.
Poulet ha molti “pezzi” di interesse, non solo per i céliniani – il migliore sono le quattro pagine su Robert Denöel, l’editore, anche lui di origine belga, trucidato nel 1944 in quanto collaborazionista, uno per tutti. Ha anche fissato l’immagine dello scrittore cencioso e blaterante degli ultimi anni, dopo la ripresa letteraria. Ha il carcere danese, per un prigioniero solo:
guardiani invisibili, mai una parola, orari spietati, dieci minuti d’aria e non
un secondo di più. E Céline che, nel vaniloquio, parla per imperfetti
congiuntivi. Ma ha avuto la possibilità, in quanto autore di Denöel, di leggere il “Viaggio” del medico in bozze. E ricorda il primo incontro, breve, scostante,”nel grottino dei Denöel”, il “basso” che serviva all’editore da ufficio, con “un satanasso dalla faccia ferma e sprezzante, malvestito”, già allora. Un dottore, consulente della Società delle Nazioni, caposervizio al dispensario di Clichy, romanziere sotto falso nome per non pregiudicare la professione, ma già oggetto, come romanziere della domenica e comunista, dei sarcasmi dei colleghi.
Robert Poulet, Il mio amico Céline, Elliot, p. 116 € 14
mercoledì 19 settembre 2012
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