È una scelta del voluminoso carteggio (integrale solo in tedesco e inglese, la scelta italiana del 1989, “Carteggio”, è diversa) tra i due filosofi, l’allieva e il maestro, dal
1926 al 1966. Operata con impegno da Jean-Luc Fidel, che
la situa nei suoi tanti aspetti in una lunga introduzione. La stessa scelta “situa” a sua volta molti argomenti, e più per la forma problematica invece che
risolutiva, in carattere col tono conversativo della corrispondenza rispetto
alla trattatistica. Sull’essere ebreo oltre che sull’essere tedesco: “Spinoza
sarebbe totalmente dimenticato, anche in quanto eretico sarebbe dimenticato, se
si trattasse della tradizione ebraica” (Arendt). Sull’antisemitismo: “Questa
storia – come tutta la storia ebraica, d’altronde – è stata… talmente
falsificata dalla storiografia, presentata dal alto ebraico come la storia
degli eterni perseguitati, dal lato antisemita come una storia diabolica, che
bisognerà rivederne tutti i risultati” (Arendt). Su Israele come
normalizzazione: “Non è un’assimilazione globale: restare ebrei ma in quanto
semplice nazione tra le altre e in seguito in quanto nazione sempre meno numerosa
e senza significato – ogni vestigio della sublimazione, del «popolo eletto»,
dovrà sparire?” (Jaspers). Sulla “debolezza di carattere” di Heidegger. Sulla
“banalità” di Eichmann – conio di Heinrich Blücher, marito di Hannah. E, in
ultimo, a sorpresa, sulla terra bruciata che Adorno (“uno degli individui più
abietti che conosca”, Arendt) e Horkheimer hanno fatto di critici e
concorrenti, Heidegger compreso, bollandoli con l’antisemitismo.
Hannah Arendt, Karl Jaspers, “La philosophie n’est pas tout à fait
innocente”, Payot, pp. 287 € 9
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