giovedì 20 settembre 2012

Il mondo com'è (110)

astolfo


Colpa – Jaspers, che impostò il tema dopo la guerra, della Colpa collettiva, la escluse, la colpa essendo sempre individuale e personale. Non “collettiva morale” né “collettiva metafisica”. Ma è certo che può essere politica e storica, e dunque collettiva e anzi generale. In Jaspers, antinazista ma psicologo, agiva la difesa irriflessa della Germania alla caduta del nazismo: la non accettazione della Colpa nasce dalla non accettazione della storia – molto forte in Germania, paese di filologi.
Jünger, nel “Trattato del Ribelle”, che è un manuale di guerra partigiana al comunismo, del 1952, a qualche anno dalla guerra, reimposta la questione. Conservatore sottile, Jünger la colpa vuole commisurata alla resistenza. Non all’obbedienza, ma al grado di resistenza: se non c’è la resistenza degli uomini liberi allora non c’è colpa collettiva di popolo, se invece un gruppo, pur limitato, di uomini liberi resiste, allora si può ipotizzare la colpa collettiva. Uno pensa di aver letto male ma è così: è una cosa tedesca. Esaminando i casi di violazione del domicilio, sotto Hitler usuale senza mandato giudiziario, Jünger trova un solo atto di resistenza: un giovane socialista abbatté con la pistola in casa una mezza dozzina di poliziotti, sulla base dell’antica libertà germanica, di cui i visitatori volevano il monopolio. E dunque la Germania non ha colpa: niente libertà niente colpa.

È pure vero che la Colpa, la colpa collettiva, prende corpo nel ‘44. È propaganda, e in quanto tale è paradossale: se “un buon tedesco è un tedesco morto”, un antinazista è solo riconoscibile se i nazisti l’hanno impiccato. Ed è nazismo: non fare differenza tra nazisti e tedeschi è la tarda tattica di Himmler e Goebbels. Prima no, i nazisti erano selettivi, le efferatezze riservavano alle SS, a nuclei scelti all’interno delle SS, fra i tedeschi e i non tedeschi, con esclusione meticolosa degli altri. Questo fino al fallimento della battaglia d’Inghilterra, cioè della guerra. Poi la tattica opposta fu lanciata, di fare d’ogni tedesco un assassino, le casalinghe come la Wehrmacht.

La colpa, volendolo, è semplice: è del fascismo. Lo Stato etico del fascismo e del nazismo ha in realtà svuotato gli Stati, trasferendone le funzioni agli apparati di partito - cioè di regime, il partito si vuole eterno. L’hanno appreso dal bolscevismo? Non importa. A questi apparati privati hanno affidato i loro idoli: gioventù, guerra, ginnastica, razza, il culto della nazione cioè e della purezza, di cui l’antisemitismo è una forma. Totalitaria è la natura dell’architetto, quale Hitler avrebbe voluto essere.

Nella pubblicistica la Colpa è più spesso del papa. Del sacerdote per eccellenza. Ma gli unti del Signore se lo dicono ogni giorno con la Bibbia: “Li ha provati come l’oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto”.

Imperialismo - Il governo britannico impose nel 1741 allo zar con apposito trattato commerciale l’obbligo di vestire l’esercito di lane inglesi. Ma le lane inglesi erano buone.
“La nozione di oppressione è una stupidaggine: non c’è che da leggere l’Iliade. E, a maggior ragione, la nozione di classe oppressiva”, già Simone Weil aveva un’altra nozione dell’imperialismo tigre di carta: “Si può soltanto parlare di una struttura oppressiva della società”. L’imperialismo è un programma su una corda tesa: non si governa con la polizia, e nemmeno con i missili. Almeno questo il Novecento avrà insegnato, al prezzo di cento, o centocinquanta, milioni di morti assassinati, con le pallottole, le bombe, il gas, il veleno, il machete, una verità semplice: la libertà è difficile, certo è un’utopia, ma il potere non può che limitarsi. Per sovietico che sia, o totalitario.
Il massimo di potenza è impotenza, e preavviso di deflagrazione: il secolo avrà sperimentato la politica totalitaria solo per provarne i limiti. L’equilibrio del terrore, è detto, ma è intollerabile, tanto più per venire nel nome della democrazia. La deterrenza è minaccia costante, rinnovata, eccitata. E vero dominio, che il mondo ordinato vuole sotto di sé, docile, disciplinato, uniforme.

Islam – Protesta uccidendosi. Anche in questa occasione: le poteste contro gli Usa hanno prodotto molte vittime nei paesi islamici. Il martirio connaturato alla fede. Ma anche l’unica forma di protesta. Per una funzione politica ridotta alla violenza, a essa anzi confinata. Come una camicia di forza.
Volendo razionalizzare, la ribellione cieca è uno degli strumenti dell’imperialismo. Si potrebbe dire anche quello decisivo, che la resistenza e la ribellione rende impotenti nel masochismo.

S’è imbozzolato da quarant’anni nel khomeinismo. Col quale non ha creato niente, non libertà né  benessere, né il rispetto del mondo, o la benevolenza, e ha distrutto molto. Per primo la rendita del petrolio e del gas, che non è per sempre. Con la quale si è data l’illusione della ricchezza, ma sulla quale non ha costruito nulla, a parte le faraonate del Golfo. Non una società più giusta, né più solida, non più lavoro né un mercato, un processo di crescita integrata al mercato mondiale, svendendosi anzi a esso quale carne povera da fatica. Vive del fondamentalismo religioso, che è una consolazione nella miseria – è l’illusione di una superiorità per i suoi demagoghi, cioè una follia.

Manomorta - La borghesia si costituì in Italia rubando i beni alla chiesa, questa è storia. Non recente. “Il male è acuto” già nel primo secolo del millennio, annotava Gioacchino Volpe: il clero carico di mogli, amanti e figli, e schiere “di funzionari vescovili, vicedomini, viceconti, avvocati”, a ogni vacanza del vescovato o del priorato si buttavano “come una bufera sul patrimonio ecclesiastico, patrimonio di tutti”. Ne nacquero le repubbliche cittadine, di chi viveva del proprio lavoro, i briganti, poi principi, e le eresie.

Misantropia -  Se è vero che gli animali la alleviano, dev’essere oggi diffusissima: c’è un animale domestico, cane, gatto, pesce, uccello, criceto, in ogni famiglia, e spesso uno personale per questo o quel membro della famiglia. Effetto della solitudine urbana. In case alveare. Senza tempo. Con ore vuote di pendolarismo, la condanna quotidiana della vita urbana, che ogni giorno spegne ogni scintilla, del cuore o dell’intelligenza. Senza voglie, per l’acedia, l’inedia dello spirito, tanto diffusa, la vera malattia sociale, e tanto trascurata. Senza voglie se non lo shopping, unica funzione sociale residua, ripetitiva, compulsiva.

Viaggiare – La promessa di uno svago. Con l’incubo del ritorno. Dove aspettano le multe. Da ritirare alla posta, dai vigili, tutti antipatici, alla casa comunale. Dopo lunghe attese. Da pagare con altre code. E bollette, anche della luce di dieci inquilini fa.

astolfo@antiit.eu

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