mercoledì 26 settembre 2012

Il paradosso dell’amore inamabile, inamabile


Dedicato a tre donne, Lara, Anna, Rihanna. Che si compiangono sicure vittime. Di un tardo polemista, benché subito tradotto. Uno che vuol’essere cattivo di proposito - per fare colpo sull’assemblea? Oppure disamorato costituzionale. Col reducismo di chi si sente tradito dal suo stesso ideale di gioventù, e specialmente feroce contro il Sessantotto (“bisognerà scrivere il libro nero del ‘68”). Il quale è invece innocente.
Il Sessantotto fu di suo un’iniezione, innocente, di verità - poi avvelenata dal sovietismo. Di aria fresca nei fondaci ammuffiti dell’Occidente, tra guerre, sopravvivenza, ricostruzione. Della critica al lavoro e al consumo di massa – ora sovvertita, ma con sofferenza, dal mercato. Di questa ventata fa parte “l’amore libero”. Che il polemista trova comodo eleggere a ossimoro: “L’ossimoro per eccellenza, il matrimonio improbabile dell’appartenenza e dell’indipendenza”. Ma il matrimonio non è sempre improbabile? Il vizio dell’epoca (del Sessantotto?) è “confondere la libertà della scelta amorosa, immenso progresso, con la libertà individuale” – cos’altro è l’amore, una condanna individuale?
Contro l’amore la scelta è à gogo: “Stupore dei Moderni: l’amore non è sempre amabile, non coincide con la giustizia o l’uguaglianza, è una passione feudale, antidemocratica!” Oppure: “Che abbiamo guadagnato alla fine di questa liberazione? Il diritto di essere soli”. Che non c’era prima? Magari più sofferto, nel silenzio, nella negazione, nella repressione. O ancora: 14 milioni di single in Francia, 170 nella Ue, non sono più un accidente – 14 milioni?170? I single che ci sono sempre stati, nelle metropoli e anche nelle campagne profonde, ma prima non lo erano. Come se la storia fosse cominciata nel ’68, o nel Settecento, quella confusa dell’Occidente, e si fosse arrestata. “La più profonda segregazione” viene nel nome del desiderio liberato.
Non si saprebbe non apprezzare l’intento anticonformista. Ma il libello arriva a colpire la Croce Rossa, nel mentre che tenta di rianimare il cadavere. Anche il reducismo aiuta, a capire se non altro la virulenza del libello – Bruckner non era stato autore nel 1979, con Alain Finkielkraut, di un inneggiante “Il nuovo disordine amoroso”?. Ma non lo assolve, tanto è semplificatorio, col comodo uso del punching-ball: crearsi un fantoccio e abbatterlo. Certamente l’orgasmo non è la libertà, ma può esserlo, per le donne, per i giovani,  se si lega all’amore – Bruckner usa Musil e Deleuze e Guattari per negarlo, lo scrittore con rimpianto, i filosofi ottativamente. Sembra la filosofia del romanzo “francese” o di costumi, a fondo sessuale: la prostituzione, l’adulterio, il tradimento, la seduzione, l’amore che non si dice, il crimine. Una cattiva critica per una cattiva letteratura.
Pascal Bruckner, Il paradosso amoroso, Guanda, pp.220 € 20

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