La prima sensazione è, infossandosi il letto al centro mentre prima era rigido, che il materasso cominci a cedere. La seconda, ritrovando la finestra del corridoio, in linea con la porta della camera, aperta e in vista, di aver dimenticato di chiudere la porta prima di andare a letto – si lascia la finestra aperta queste notti di calura perché prende il vento terrazzano, della montagna.
È un risveglio assonnato, questo delle quattro o le cinque del mattino, per una forma di insonnia episodica, a volte, dopo le prime quattro ore di sonno, o legata ai cicli lunari, chissà. Il primo impulso è d’abitudine cercare gli occhiali da lettura sul comodino. Al buio, per non traumatizzare il risveglio, nella speranza che sia breve. Ma il tavolinetto non c’è. Il pensiero insorge che ci sia stato un nuovo terremoto durante il sonno, che ha spostato il tavolinetto. Tentando a tastoni più in là, invece del tavolinetto s’incontra però un armadio, che avrebbe dovuto trovarsi un paio di metri a sinistra sulla parete. Il terremoto dev’essere stato forte, è la conclusione, se ha spostato l’armadio.
Una pausa s’impone, e la ripresa daccapo delle operazioni. Della gestualità consueta a questi risvegli. Partendo dal cuscino, dall’allineamento del cuscino, se il terremoto non ha spostato il letto. Non sembra. Seguendo la linea del cuscino, il tavolinetto con la sveglia, un lume e gli occhiali dovrebbe incontrarsi. In effetti il ripiano c’è, ma al tatto offre un telefonino “grillo” invece del lume da tavolo. Il ritorno al cuscino s’impone per prevenire nervosismi. Ma questa volta, seguendone l’allineamento, uno spigolo si offre, una vasta apertura nel muro, profonda anche…. E qui l’idea che il terremoto sia stato disastroso, con un principio di ansia, viene cancellata dalla consapevolezza che questa è un’altra casa, il letto, il ripiano e l’armadio hanno un’altra disposizione.
Tutto ciò da sveglio ma come in sogno, da dormiveglia. Per un tempo lungo, molto più del terremoto, un paio di minuti, un’eternità. Due notti dopo avere sperimentato un terremoto vero. Anche di una certa intensità, 4,6 Richter. All’una e dodici di notte, poco prima di andare a letto. Il terremoto è come un cane. Se non inselvaggisce al più brontola. Il terremoto vero è venuto con due scosse, ma in una diecina di secondo in tutto, nemmeno il tempo di alzarsi dalla sedia. Benché intervallate da un vento, un sordo brontolio come un botto. E non ha spostato le cose, sebbene ne desse la sensazione visiva. Non se, come in questo caso, nessuna costruzione vi ha soggiaciuto, neppure nell’epicentro. Il terremoto è venuto al tavolo di lavoro. E i libri accatastati, che sembravano ondeggiare, sono rimasti in pila, disordinata dopo il terremoto come prima.
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