Un’altra guerra perduta – la guerra non è filosofica? In una collana “Minima”, ma sono duecento pagine. Di cui una quarantina di note, in corpo 6. Sbrigliato, cattivo. Guardiamo alle guerre come al peep-show, all’atto osceno in diretta – dove il frillo cioè viene dalla diretta (l’intrusione) più che nell’atto. Senza partecipazione emotiva, quindi senza residui. Incatenati alla ripetizione. Con un utile richiamo alle proprietà “sacrificali” della crudeltà, di Joseph De Maistre e ora di Girard. Ma con troppe cose, ininfluenti, mentre troppe latitano.
C’è la guerra che non c’è, che è Baudrillard nella guerra del Golfo, la prima del nuovo ciclo. Ci sono le false notizie, tema di analisi ormai classiche della prima guerra mondiale e della seconda. Più indietro, le esecuzioni capitali come spettacolo. E la crudeltà dei romani. Che erano anche schiavisti. Una sorta di scoperta dell’Africa, la quale era stata scoperta prima di Gesù Cristo. Il resto non c’è. Non c’è la demagogia dei media. Un po’ per non saper che altro dire, se non la delazione e l’aizzamento (il vecchio jingoismo). Un po’ come strumenti della disinformazione, che è l’arma centrale dell’imperialismo oggi. Nel quale la persuasione (l’opinione pubblica) ha più peso delle bombe, essendo necessaria a pagare bombe e bombardieri – pagare è centrale nella nostra democrazia anglosassone (“niente tassazione senza rappresentanza”). Il filosofo intravede il ruolo dei media, ma lo limita agli innocui ghirigori del disincantato Sofri, o alla superficialità di P.Flores d’Arcais, l’ex Solidarnosc’ che ha adottato il deposto linguaggio sovietico.
Non c’è, per strano che possa sembrare, l’imperialismo contemporaneo, basato come sempre sul buon diritto, nelle forme della persuasione. “Al Jazeera”, che aizza il radicalismo arabo e islamico, per esempio, sarebbe stata un buon esempio: progetto e prospettiva di uno sceicco del Golfo, già tesaurizzatore di oro e ora di royalties, che in un’altra prospettiva dovrebbe esserne (sarà) la prima vittima, molto prima dell’“Occidente” – una prospettiva non remota, era quella del nasserismo, del riformismo laico, di trent’anni fa, prima del khomeinismo.
Della stessa “guerra umanitaria”, la nostra storia, di questi ultimi venti anni, e la nostra tragedia, la tragedia dei buoni sentimenti, manca l’anamnesi e il giudizio. Benché le sintomatologie non difettino – anche questo sito ne ha trattato per esteso (“La guerra umanitaria”). La guerra “umanitaria” è la forma dell’imperialismo. Il filosofo dice queste guerre che da vent’anni moltiplichiamo, più che atti di “polizia internazionale”, le cacce all’uomo delle posse del “vecchio West”, o “peep show militari globali”, o anche “giustizia sommaria globale”. Dopodiché siamo al punto di prima – dov’è l’acribia di Foucault? E la guerra totale americana? La guerra aerea o, peggio, missilistica – con “droni” intelligenti che scovano il singolo nemico… - “senza limiti”. Deciso e ambiguo fino dal titolo: la nostra indifferenza è infatti verso la nostra crudeltà. Viviamo, l’Europa vive, una situazione di violenza indifferente, “normale” – l’Europa, non l’Occidente di una remota propaganda (ci fu un comunisno in Europa?).
Giustifica la lettura la guerra nei romanzi dell’Ottocento, e in quelli del Novecento (ma qui con l’assenza curiosa di Céline, che invece fa “capire tutto”) - che forse era in origine tutto il libro. Un altro libro allora da quello che è proposto al lettore. Forse la guerra non è filosofica. Dovrebbe esserlo, ma non lo è stata e non lo è. Se non nei suoi attributi, preventiva, difensiva, coloniale, di liberazione, giusta, umanitaria. Un filosofia falsa, che discute l’apponente di un fatto incognito.
Alessandro Dal Lago, Carnefici e spettatori. La nostra indifferenza verso la crudeltà, Raffaello Cortina, pp. 220 € 13,50
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