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Céline – “Céline segreto” è alla nona puntata nella rubrica di D’Orrico su “Sette”. Per tutta l’estate, ogni settimana il settimanale del “Corriere della sera” ha presentato un aneddoto tratto dai ricordi di Lucette Destouches, la moglie dello scrittore. Che così è il più presente e presentato sui giornali. Senza essere recensito (criticato). È così ingombrante?
Dante – Il suo iperrealismo, anche quello cronachistico, è fantastico, dice Borges a dilogo con Arbasino: “È un’Allucinazione… È… È… Una contraddizione di tutte le letterature dell’oggettività”.
Fai-da-te – Lo psicologo Alfonso Luigi Marra, che si pubblica da sé i suoi libri, ora fa sul serio. Dopo i video online con testimonial eccellenti, Manuela Arcuri, Lele Mora, e Ruby – insomma la scuderia Mora – ora ha testimonial Vittorio Sgarbi. Non da poco. E non più in video ma in uno spot su Rai Uno, all’ora di maggior ascolto. I secondi più costosi. L’editoria fai-da-te dunque paga.
Filologia - Prima della morte, attesa (2002), Maria Corti ha curato febbrilmente un’antologia del suoi “Scritti su Cavalcanti e Dante”, che reputava il meglio del suo lavoro. Si sarà pentita di aver tanto lavorato a togliere a Dante parte cospicua della sua originalità, attribuendola a fonti arabe: la “favola” di Ulisse, il viaggio nell’aldilà, le colonne d’Ercole? O è la dannazione del filologo? La “scuola del sospetto” ancora domina la filologia: il lavoro di scavo sulle fonti e sui precedenti vuole essere denunciatorio. Il risultato non cambia: si stabiliscono le connessioni, si tentato. Ma con un retrogusto, direbbe l’assaggiatore, denigratorio.
Fantastico – La letteratura non può essere che fantastica (creativa, inventiva). Di un fantastico naturale, cioè non artefatto o di maniera, né obbligato o imposto. Anche la storia, ma fino a un certo punto – è questo che fa il fascino della grande storia dopo Erodoto.
Geoeditoria – Come la geopolitica c’è ora una geoditoria. Autori di una paese, un continente, una “razza”, si pubblicano indistintamente perché fanno trend. Per una stagione o più, quanto dura il trend, che a volte si ravviva strumentalmente, con aneddoti, fatti veri o inventati, un marketing attivo. I brasiliani, per esempio, sono durati a lungo, prima perché c’era la dittatura, poi per il carnevale, i viados, le spiagge bianche, e Toquinho. Indiani, sudafricani, cinesi, svedesi, spagnoli, si comprano alla rinfusa e si traducono subito, dopo il successo di uno di loro. Non si traducono invece più, da anni ormai, i tedeschi, che andavano negli anni 1980, e i francesi, poco gli inglesi.
Incesto – Tahar Ben Jelloun stigmatizza un giovedì su “Repubblica” Christine Angot perché si diletta di incesti. Irritato che la scrittrice sia apprezzata da “Le Monde” e “Libération”. Christine Angot è tradotta, ma non per i libri in tema - ed è presto finita ai remainders. Mentre venerdì una diecina di copie dei libri stigmatizzati, che la libreria francese di Roma aveva sugli scaffali, erano già esaurite.
Romanzo – A lungo fu eversivo. Della morale, soprattutto delle donne, dell’ordine socia,e dell’ordine politico. A Parigi ancora a metà Ottocento una speciale commissione lo metteva fuori legge, tassando “emendamento Riancey”) di cinque centesimi la copia i giornali che li pubblicavano in a puntate – i feuilleton.
Traduzione – In molti casi è interpretazione – ermeneutica. Per esempio della “Bibbia”. Con effetti molto dissimili a seconda dei presupposti. Si fanno ultimamente dell’“Ecclesiate” traduzioni che non hanno nulla in comune tra di loro. E con l’originale? Un testo “sacro”.
Viaggiare – È questione complessa. “E come potrò evitare”, dice un’eroina di Jane Austen, “i pericoli cui non sarò mai esposta”, chiusa nella valle dov’è nata? Il viaggio è curiosità. Non a fini pratici. Omero, Erodoto, Apuleio, Luciano, i più simpatici sono vagabondi, e Verne, Salgari, Kipling. Anche amare, dice D.H.Lawrence, non è che viaggiare. Si viaggia senza valigie in realtà, e questo genera il sospetto.
Meglio viaggiare che arrivare, ha detto Stevenson prima di Anise Strong. Anche in senso materiale? Su aerei, toyota, landrover, navi e a piedi, per safari e vite notturne, fra dozzine di polizie diverse e regolamenti di polizia, nonché low cost e tout operator affrettati, è semrpe pericoloso. Per arrivare magari in un cinque stelle e dover chiamare il boy per farsi spiegare che il rubinetto funziona a cellula fotoelettrica, o come funziona la radiosveglia, che comunque è nociva.
Sembra impossibile, ma ogni albergo ha rubinetti diversi. Forse per alleviare la verità che ogni viaggio, secondo Graves, quello di Ulisse incluso, con tutto l’apparato di sorprese e turgori, è un viaggio attraverso la morte nel regno dei morti. Specie quello che oggi usa, del viaggiatore che non va in nessun posto, solo paga per l’uso del suo tempo libero, in soldi e fatica, e non ama le novità, il cibo, il clima, l’esotico, che sempre è sporco e povero. O è lo spaesamento, che produce stanchezza. Anise, la battagliera americana che tanto ha lottato per Stalin e il presidente Mao, quando fu libera di viaggiare dopo la guerra di Spagna, cioè quando Stalin riuscì a liberarsene, si prese una pausa a Parigi - la nota temuta Mrs. Strong di “Kaputt”, che Malaparte frequentava con Harold Nicolson, che per parte sua era amico di Oswald Mosley, il Mussolini britannico che il re aveva nobilitato, e compiaciuto lo esibiva allo scrittore pettegolo.
È che viaggiare riempie di pellicine, dovendo fare, disfare e trasportare le valigie. E dopo tanto viaggiare uno ha voglia di casa. Un altro viaggio, certo: “Dove mai andiamo?”, chiede Novalis, “sempre a casa”. Anzi, potrebbe essere il vero viaggio. Secondo Kierkegaard è in famiglia il turismo più vario: “Il matrimonio è”, diceva, “e sempre sarà, il più importante viaggio di scoperta che un uomo possa intraprendere” – o una donna: il filosofo misogino potrebbe averci azzeccato non volendo. E secondo il casalingo Stendhal: “Quello che mi piace dei viaggi è la meraviglia del ritorno”, che però non ebbe mai una casa, e lasciò ventiquattro testamenti.
Il viaggio per antonomasia, il ritorno di Ulisse, è opera di uno, Samuel Butler ha ragione, che - sia Omero un omone cieco e barbuto e non la gentile Nausicaa - è esperto di vita domestica a corte e non di viaggi per mare o di mondi lontani, né di vita nei campi. Si tornava a casa per interrare i morti, che vogliono essere pianti: era il cammino della nostalgia, che si fa per virtute e conoscenza. Ma oggi l’interramento è obbligatorio per regolamento di polizia.
Un’odissea sarebbe una traversata del deserto. O quella del santone tibetano, su percorso misto roccia\ghiaccio alle alte quote. Nell’“Odissea”, che figura poema del ritorno a casa, Ulisse è uno stordito, non sa neppure di essere arrivato, è Atena che gli rivela Itaca. La stessa parte avventurosa è del resto breve, dopo lunghi illeggibili capitoli su Telemaco e Penelope. Il viaggio di avventure sono le “Argonautiche”, e il costruttore di destini è Prometeo, sbaglia Dante, che il suo viaggio volle somigliante all’“Odissea” – la Guerra di Troia di Benoît opportunamente mescola “Argonautiche” e “Iliade”: tutta la “Commedia” è un viaggio, compresa l’estasi nel “Paradiso”, ma non un’odissea. Ulisse è perfetto in quanto Nessuno. A meno che non si viaggi proprio per diventarlo. Per Griaule, Leiris e Lévi-Strauss il viaggio è una deriva, una ruminazione solitaria. Non male. L’“Odissea” è una deriva, Ulisse, tornando a casa, erra: si trastulla, si dimentica. È questo forse il senso della nostalgia, lo spaesamento. fa parte dello stesso sistema di linguaggio, occidentale, europeo, personale.
Sì, sant’Agostino: il libro, il viaggio, il mondo che non si sfoglia se non si viaggia. Ma ci sono libri che è meglio non sfogliare.
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