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De Fiores – Stefano De Fiores, un mariologo, teologo della Madonna (era Ordinario emerito di mariologia sistematica e storica alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Facoltà teologica Marianum), che oggi si ricorda a sei mesi dalla morte, sarà stato il miglior lettore e interprete di Corrado Alvaro. Per ragioni tribali, padre de Fiores e lo scrittore erano entrambi di San Luca, alle falde dell’Aspromonte. E anche per una segreta sintonia con la religiosità pronfoda di Alvaro. Nel rapporto con la Montagna (l’Aspromonte), col suo santuario (Polsi), e anche con le origini (il paese, i familiari).
Roberto Roversi nell’ultima intervista lo ricorda probabilmente come “il parroco Sales”, uno dei clienti “inimmaginabili” della sua libreria antiquaria, “che dall'Aspromonte mi ordinò una prima edizione del Wittgenstein”.
Massoneria – Mozart e Beethoven, massoni professi, hanno composto Messe e Requiem che sono fra le musiche più emozionanti e compassionevoli.
Omero – Le questioni omeriche sono geopolitiche - Lisbona non si vuole fondata da Ulisse? Si sa che Omero, cieco, ha idea vaga della geografia e delle distanze, oltre che dei colori.
Patrimonio artistico – Nella folgorante raccolta “Scritti galeotti”, Daria Galateria riesuma il furto della Gioconda al Louvre, nel settembre del 1911. Il quadro per il quale il Louvre è il museo più visitato al mondo passò la frontiera tranquillamente. Fu ritrovato – fatto ritrovare – sedici mesi più tardi, a Firenze. Da Vincenzo Perugia che l’aveva sottratto. Un futurista, pittore. Che si ebbe un solo anno e cinque giorni di pena, con la condizionale, per “meriti patriottici”.
Una vicenda doppiamente esemplare. Per quello che si sa: che è bene che i quadri siano esposti, in luoghi visitabili (accessibili, fruibili) ai più. E per quello che si intende ma non si dice: che le opere d’arte sono polpa del nazionalismo. Un bene della nazione. Un patrimonio pubblico, inalienabile. Tutto per di più sordidamente inteso. Oggetto di gelosia, possesso, avidità. Da avari che accumulano più che godere. Mentre patriottismo, nazionalismo e orgoglio meglio si realizzerebbero nella fruizione libera delle opere d’arte. Del patrimonio. Di quello esposto ma anche, anzi soprattutto, di quello non esponibile, per mancanza di spazi o di utenza, che è ben più vasto di quello esposto. Anche di pezzi pregiati, che attirerebbero l’attenzione. Anche in rispondenza alle tendenze fluttuanti che animano la curiosità e l’estetica.
Allargare l’interesse, diffondendo e mantenendo viva una cultura (passato). Condividere i canoni. Stimolare l’empatia, che li arricchisce. Moltiplicare gli studi. Con una funzione pedagogica, nel Middle West o nel Dubai. La fruizione stessa, popolare, commerciale, non è da disprezzare, è in qualche maniera l’arte tra noi.
Per placare le suscettibilità nazionaliste (ma un veneto “darebbe via” volentieri i bronzi di Riace…) si può pensare a un leasing novantennale, con i diritti di proprietà imprescrittibili..
Roversi - Muore Roberto Roversi e i titoli d’obbligo sono sull’“ultimo poeta pasoliniano”. Lui che si professava amico di Vittorini, Bassani, Calvino, Volponi, e mai nominava Pasolini. Che aveva ospitato, forse, nella sua libreria quando editava “Officina”. Rona della preistoria. Da cui tutto lo divideva, la passione ideologica, lo stile di vita, l’umanità.
Viaggiare – “Viaggiare è il mio peccato” è titolo di Agatha Christie. Per antifrasi, viaggiare come passione.
La nostalgia è stupida, se uno parte non ha molti motivi per starsene a casa. Ne soffre Ulisse, che è però nomade suo malgrado, e forse la finge.
La dottoressa Pellech, studiosa d’Austria, paese senza mare, deduce dall’Odissea, specie dalla colorazione dei mari, che per i greci la terra non fosse un disco ma una sfera, per cui correvano in tondo, non da qui a lì.
La studiosa è la stessa che gli Argonauti spedisce in Scandinavia. Il periplo degli Argonauti è occupazione cara da tre secoli alla Mitteleuropa, che lo voleva nell’Adriatico prima che al Polo.
Thomas Mann, che fa in grande pure “due giorni di viaggio” di personaggio anonimo, dice che “lo spazio che ruzzola via fuggendo tortuoso, e s’interpone fra lui e il suo luogo di residenza, ha in sé forze che si credono di solito riservate al tempo”. E che, come il tempo, lo spazio “genera dimenticanze”. Per il piacere al solito di filosofare al ritmo della sua stessa frase? La strada è oggi autostrada, diritta e chiusa, senza spazio né tempo. A meno d’infognarsi nella foresta amazzonica, nel Sahara. In un buco nero, dove il moto è bloccato e il tempo illimitato, si può andare avanti e in-dietro. Ma il censore cosmico non lo consente. Si resta così in compagnia di se stessi.
Cos’è l’esotismo? All’Hilton? E cosa sono le Wanderlust e Wanderschaft, i Wanderleben e Wandertrieb, una fuga dall’amata, dagli amici, dal paese impossibile? I tedeschi, che l’istinto di vagare professano, si ritenevano e erano prima del Reich una tribù, nomadi.
Viaggiare però bisogna, poiché illustra la scrittura britannica.
“They watch, they listen, they compare notes, they learn everything about everyone. They have nothing else to do because hotel life is the most deadly of all forms of boredom”: la vita dei giornalisti in albergo è noiosa secondo Chandler, il miglior scrittore Usa che fu inglese, e manager del petrolio fino al ‘33, l’anno della Crisi, dalla quale uscì scrivendo gialli fra chiome bionde e carni sode della California del Sud, dove visse di preferenza in albergo. Anche Joseph Roth non ne poté fare a meno: “Tutti i miei libri sono scritti in camere d’albergo”. È piacevole destarsi in una stanza nuova. Diversi i colori, la forma, l’altezza, la luce, e gli odori. Per ipotesi, di solito gli occhi non vedono. E la veduta, aprendo la finestra, è di solito un muro cieco, quello che ci vuole per scrivere.
In alto mare, stando gli occhi di una persona eretta a sei piedi sopra il livello del mare, se è alta un metro e ottanta, il suo orizzonte, secondo i calcoli di Darwin, è alla distanza di due miglia e quattro quinti: “Egualmente, tanto più piatta è una pianura, tanto più l’orizzonte si avvicina a questo ristretto limite, cosa che, a mio parere, annulla del tutto la grandezza che uno s’immaginerebbe nella grande pianura”. Ma nei paesi piatti, in Belgio o in Libia, c’è piuttosto l’effetto Gulliver: ciuffi d’erba si ergono a cipressi, piccole Toyota a mammut, e ombre si agitano di uomini giganti. È l’orizzonte basso che crea la grandezza, nel senso dell’incognita che sta dietro, ciò che non si vede. Nel deserto la sorpresa è sempre uguale, rimandando di continuo a un’altra sorpresa. Ma non si può dire. Lo stesso dev’essere per la bonaccia in mare.
letterautore@antiit.eu
domenica 16 settembre 2012
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