sabato 22 settembre 2012

Nella metro di Zazie le identità perdute

Il libro (racconto, romanzo, saggio, divertissement) è più articolato ma meno attraente del film di Malle – del 1960, che si riedita in dvd, risonorizzato e ricolorato. Il libro, del 1959, si può dire un caso di “teatro”
dell’assurdo – in contemporanea con Ionesco, che il genere sublimava e esauriva. Al film manca l’Aristotele dell’epigrafe: “Chi ha composto ha soppresso (o dissimulato)”, che annuncia i molteplici travestimenti cui Queneau si è obbligato – e che fanno la “trama”. E manca naturalmente la parola magica, “Doukipudonktan?”, che apre il libro, il parlato di “D’où qu’ils puent donc tant”? com’è che puzzano tanto. Ma l’ossessione di Queneau con la metro, mondo infero, obbligato per i più e precluso, è nel film visibile, non più un’ubbia di Zazie.
Nello stesso anno in cui cominciava “Zazie” Queneau fa il protagonista di “Lontano da Rueil” un appassionato di “metrologia”, e della metro la scena di un tentativo di teatro, i due atti “En passant”. L’idea è un gioco a nascondino con le identità (verità). Senza ricorrere all’inconscio (sotterraneo: la metro è chiusa ostinatamente per sciopero), ma in superficie, tra fughe e trasformazioni. Lo stesso meccanismo per cui in “Alice”, quasi un secolo prima e di più nel recente film di Tim Burton, le cose appaiono e scompaiono. Identità sessuali, generazionali, parentali, di ruolo. Con un multiforme Vittorio Caprioli nel ruolo plurimo di Trouscaille-sbirro-satiro-gentiluomo. Con in più le fughe e gli inseguimenti, che solo al cinema si possono.
Con questo arricchimento Malle avvicina “Zazie” al “Romanzo comico” di Charron (“buffo” nella traduzione in commercio di Sellerio). Cui la critica recente lo apparenta. Il mondo povero dei commedianti, lì professionali qui loro malgrado, si sostanzia nell’incomunicabilità e nell’irrilevanza. Fino alla baraonda finale al ristorante - di cui faranno tesoro le serie di film alla Bud Spencer e Terence Hill.
Louis Malle, Zazie nel metro

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