“Non sono stupito”, dice Nerio Nesi, il banchiere socialista, al “Corriere della sera” che lo intervista sulle frequentazioni americane di Di Pietro prima e durante Mani Pulite: “Semmai perplesso”. E come sempre dice la verità, anche se in un modo che andremo a vedere. Un’altra verità, che tutti sanno ma non dicono, dice successivamente, sempre a modo suo: “Molte libertà” la Procura di Milano aveva concesso “a un giovane sostituto procuratore”, sconosciuto. Ma il punto è: come mai il “Corriere della sera” disturba Nesi, un banchiere politicante, che va peraltro per i novanta, quindi fuori da ogni giro? La risposta è nel non detto: Nesi è uno che sa molte cose, in quanto accusatore di Craxi allo stesso Di Pietro, e in quanto finanziatore della guerra americana all’Iran tramite Saddam Hussein.
Contro Craxi, senza colpa
Benché socialista, Nesi accusò Craxi, per una storia confusa di prestiti, non concessi, ai Ligresti. E lo accusò, dopo il preannuncio su “L’Espresso”, direttamente a Di Pietro. Nesi veniva peraltro da uno scandalo atipico, cioè da servizi segreti. Era presidente della Bnl, la Banca del Lavoro di proprietà del Tesoro, cioè del governo. Che aveva finanziato l’Iraq di Saddam Hussein negli anni 1980, quando l’Iraq del dittatore era nei piani degli Usa contro l’Iran di Khomeini. E specificamente di una sorta di governo americano parallelo, animato dal segretario di Stato, il generale Alexander Haig, un falco (voleva “un colpo nucleare” in Europa per intimorire Mosca). Il cui principale collaboratore un colonnello dei marines, Oliver North, che sul finire della decade diverrà celebre per aver armato segretamente, malgrado ogni embargo, l’Iran, in cambio del rilascio di alcuni prigionieri anglo-americani a Beirut.
Nesi aveva finanziato l’armamento iracheno con quattromila miliardi di lire, due miliardi e più in euro. Senza mai un rientro. Una cifra imponente, disposta da un modesto funzionario della Bnl Atlanta, Chris Drogoul, personaggio con una vita equivoca. Romanzata: nato ufficialmente a New York da padre francese e madre tedesca, un’infanzia in Francia, un’adolescenza a Milano, studi di filosofia negli Usa, impiego alla Barclays Bank e poi alla Bnl. Dove in quattro anni, dal 1985 al 1989, quando la perdita venne scoperta dalle autorità di vigilanza americane, dispose senza remore l’esborso di quattromila miliardi a perdere.
La perdita colossale non fu mai collegata alla fornitura di armi a Saddam. Ma nessuno spiegò che ci faceva la Bnl a Atlanta, nel Sud degli Usa. E come mai un semplice impiegato disponesse di quattromila miliardi. Soprattutto, nessuno chiese conto a Nesi di questo ammanco colossale. Nesi non era solo, naturalmente: Giacomo Pedde e Pier Domenico Gallo, direttore generale e vice della Bnl, sapevano tutto, ma neanche loro furono ritenuti responsabili. Di che?
“Una cospirazione”
“Un’operazione di politica internazionale progettata e condotta per lo più clandestinamente, che ha trovato piena sponda negli Usa e negli altri paesi”, stabilì la commissione d’inchiesta del Parlamento che il 22 aprile 1992 consegnò una relazione di 84 cartelle piena di fatti al presidente del Senato Spadolini. Nesi, Pedde e Gallo persero il posto, ma con altri incarichi più remunerativi e nessuno li perseguì penalmente. La Bnl di Atlanta era stata aperta nel 1982 appositamente per gestire con discrezione i conti iracheni. Fino ad allora, fino a quando servivano per il trading del petrolio, accesi presso la Bnl di Roma.
Marvin Shoob, il giudice americano che un anno e mezzo dopo giudicò il caso, il 24 agosto 1993, lo definì “una cospirazione politica”. In polemica esplicita con la pubblica accusa, che “contro ogni evidenza” escludeva la cospirazione, Shoob stabilì: “Non si tratta di un semplice caso di frode: gli imputati sono pedine in una cospirazione molto più' grande”. Spiegando che la documentazione raccolta, benché lacunosa, sottintendeva un’intesa tra Stati Uniti, Italia e Gran Bretagna per consentire alla Bnl di effettuare i prestiti come parte della politica occidentale di sostegno all’Irak nella guerra contro l’Iran. Il titolare dell’accusa, Jim Hogan, era stato nominato dal ministro della Giustizia di Clinton, Janet Reno. Il giudice Shoob, rifacendosi ai rapporti della Cia, alle pressioni subite dalla Casa Bianca, e al coinvolgimento nello scandalo di numerosi agenti segreti, scrisse che la versione di Hogan era credibile solo “nel mondo dei sogni”.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento