A novembre del 1980 Teheran festeggiò la vittoria di Reagan, la Teheran di Khomeini. Esultavano gli ayatollah per aver vinto le elezioni americane, al posto del presidente in carica, il democratico Carter, essendo stato eletto il sicuro perdente Reagan. Carter aveva perso, a loro giudizio, per non aver potuto liberare i dipendenti dell’ambasciata a Teheran, 52 persone, rapiti dai “fedeli di Khomeini”: un’incursione militare, con gli elicotteri, era fallita malamente.
Obama ha mandato marines e droni a punire gli assassini dei suoi diplomatici a Bengasi. Non potrà finire come la missione salvataggio di Carter, tanta incapacità è ineguagliabile. Ma difficilmente nelle sette settimane che mancano al voto riuscirà ad “assicurare i responsabili alla giustizia”. È il fattore che potrebbe spostare l’elettorato americano, ora equamente diviso, verso il repubblicano Romney.
Non tutto sarebbe allora oscuro, in questa vicenda di un film blasfemo che non si vede. Che non porterà alla rottura fra i paesi arabi e gli Usa, impossibile. Ma a un presidente meno filoarabo sì, ora è possibile.
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