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Dio – Se è padre, lo si penserebbe compassionevole e benevolente. Talvolta triste e preoccupato, ma di proposito attivo, rincuorante. Invece è visto come una presenza malevola, vendicativa, odiosa. Al meglio assente. È l’effetto della secolarizzazione, che non abolisce Dio ma lo imbruttisce.
L’uomo secolare è superbo. Considerato che anche la secolarizzazione rientra nell’ordine della creazione, che pensarne? È il problema del male, se anch’esso è nell’ordine della creazione – il diavolo.
Guerra – Primeggia la concezione della banalità del male: della guerra “tecnica” e quasi autogestita nel mondo delle masse. Con la responsabilità diluita, al limite dell’inconsistenza. Che non può essere, la guerra è sempre l’effetto di un piano. E la responsabilità in guerra è oggettiva prima che soggettiva – del singolo sanguinario.
La solitudine del fante c’è sempre stata, anche nelle guerre a piedi, in piccola formazione. E la sua incapacità di “concepire” il grande piano della guerra, giusto il piccolo spazio nel quale è rinchiuso. Non è questa la novità: la novità è la distruzione di massa. Che esige una grande organizzazione, la quale si pianifica per tempo.
Male – Non origina nei vizi, non più, è noto, il Decalogo è superato. Vive dell’accantonamento dell’umanesimo (umanità) – o dell’unpredictability, diceva Hannah Arendt, della spontaneità. Vive della concezione dell’uomo onnipotente, a una sola dimensione, sia pure ragionevole – della ragione a basso voltaggio del perento scientismo. E della confusione: chi contesta quest’uomo (Heidegger) ne dà la colpa a Platone, che invece non c’entra. O a Nietzsche, che c’entra ancora meno.
La filosofia non c’entra – è stata messa da parte con l’unpredictability. Il nostro è il mondo come è, tal quale, che si lusinga di espungere il male come il bene. Lasciando il male senza barriere, né fisiche né metafisiche.
Storia - Forse non c’è storia ma una serie di istanti eterni, come Yourcenar vuole. Anche se la storia non si cancella. Max Weber, Croce, Ortega y Gasset, Arendt, Camus, Sartre, Cioran, Trockij, Gramsci, Weil soffrono la separazione tra morale e storia, Marx e Popper no. Ma si può dire merda alla politica. Il sogno è questo, liberarsi dei padroni, per quanto affettuosi, e dei collari, benché pregiati. Nell’antichità la morale privata era inseparabile dalla morale pubblica, da Omero a Marco Aurelio. L’etica era una, e si legava alla metafisica, ossia alla conoscenza e alla concezione del mondo. Cristo e la Chiesa hanno scisso le due esperienze. Si può avere voglia di tornare indietro e negare la storia, o la chiesa, erigere paletti, e altari alla dea ragione, dirsi società di uomini integri illuminati, ruminare il latinorum, rimpiangere il buon tempo antico quando gli uomini erano d’un pezzo. E può anche essere che storica sia pure la metafisica.
È un sapere e non una scienza, ha ragione l’insopportabile Schopenhauer, analizza e comprende solo il singolo, e mai conosce il singolo mediante il generale. Deve strisciare sul suolo dell’esperienza, mentre la scienza volteggia su di essa. La storia parla dell’individuo, e di ciò che è solo una volta, poi non più. Sa tutto quindi solo imperfettamente e a metà. Ecco in che consiste il vantato pragmatismo della storia: ci illude che in ogni momento avviene qualche cosa, direbbe Schopenhauer - lui sa cos’è illusione? Ma dice anche: “Noi conosciamo un’unica scienza, la scienza della storia. La storia può essere considerata da due lati, storia della natura e scienza degli uomini. Dovremo soffermarci sulla scienza degli uomini perché l’ideologia è o una concezione falsata di questa storia, oppure un’astrazione completa da essa!”.
Viaggiare – Si diceva fosse la ricerca (il pellegrinaggio), la scoperta. Della vita se non della verità. Il vagabondaggio è stato imposto a lungo in Europa a chi voleva imparare un mestiere, e agli studenti. È un problema ora che si viaggia per piacere: se non è meglio in surplace, stando seduti. O la fatica fa parte del piacere?
Si può dirlo pulsione iscritta nel codice genetico dell’umanità: la dromomania espressione della drapetomania, la compulsione a viaggiare come impulso ad allontanarsi dalle cose, a definirsi in negativo, in una sorta di tebaide mobile. Ma viaggiare stanca. Pascal pensava che l’uomo deve i suoi problemi al fatto di non saper stare in una stanza. Lo pensa pure san Giovanni Damasceno: i viaggiatori hanno la stessa vita triste di coloro che non conoscono la tranquillità.
Il viaggio è la giovinezza del mondo, è la libertà. La libertà è il moto. Molto viaggiano per gli uomini i sogni, la poesia, i casi della vita, viaggiano l’acqua, il vento, la luce, con il giorno, la notte e le stagioni, che misurano il tempo. Viaggia inflessibile il tempo - se non segna il passo, pure lui, il pendolo ne ha tutta l’aria: ma viaggia per esso la memoria, o l’anticipazione, il desiderio, la paura, il caso. Il viaggio si fa con la mente più che col corpo, in questo Aldous Huxley ci azzecca. È come leggere, e i paesaggi cambiano, vaghi e precisi.
Volendo fare testamento dopo una vita di viaggi nulla sarebbe da scriversi, in viaggio si accumulano emozioni, non cose. Ulisse si fa legare e turare le orecchie quando, nella navigazione, s’imbatte nella realtà. Il piano vero di viaggio si fa alla fine e non all’inizio, il vero viaggiatore di Budda non ha mappe. È questo il modo di viaggiare originale, se è vero che sempre il fascino dell’ignoto ha governato l’uomo. Sempre si va verso una meta, seppure per sport o passatempo, e la meta si sposta in continuazione. Ma metafisicamente è l’origine, l’inizio di qualcosa, diceva Hölderlin.
zeulig@ntiit.eu
sabato 29 settembre 2012
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