Maroni va a Torino e propone “Dodici progetti per far ripartire il Nord”. Uno è il taglio di un milione di dipendenti pubblici, nelle “regioni non virtuose”. E quali sono le regioni virtuose? La Lombardia? Che la Lega governa. Dove rubano tutti. – i padroni del vapore. Mentre le Procure fanno da palo.
No, il taglio va fatto nelle regioni meridionali.
Vertice a Milano
La prima ad arrivare viene da Verona ma si chiama Elena Cosenza. È la prima fan al concerto a Milano di Lady Gaga. La quale arriva al concerto da una cena molto selezionata di Donatella Versace, la sua “sarta”. Con la quale hanno ricordato Gianni, che arrivò a Milano da Reggio Calabria, sarto già fatto. Lady Gaga invece no: fa di nome Germanotta, ben sassone quindi di origine, ma siciliani sono i suoi genitori, di Palermo.
Essere e non essere
Il modo di essere è a volte l’unica cosa che noi siamo. La lingua e i linguaggi che ci sono stati dati, le tradizioni, per quanto povere. O altrimenti restiamo “spaesati”, è la parola giusta, esposti a tutti i venti. Può succedere con l’emigrazione, Non tanto per lo spaesamento vero e proprio, in mondi remoti, dove si parlano lingue sconosciute. Quanto per l’oblio, spesso non richiesto ma nelle cose. Che va con l’integrazione: passare per esempio dalla vita di paese o di campagna alla fabbrica. A un ruolo sempre e comunque insignificante. Che non integra, non ha dove, ma disintegra – può farlo e lo fa: raschia cioè ciò che c’era, seppure in crosta (forme morte, tradizioni stantie), per lasciare un vuoto a perdere.
Leonardo, giovane operaio al frantoio, a Arcimedi, si prendeva il lunedì di malattia. Per andare a caccia. Il fatto era governabile – era a suo modo previsto. Anche se non piaceva, né ai suoi compagni né a papà. Quando emigrò a Genova per fare il manovale ai cantieri, tornò indietro dopo il primo inverno: il lunedì non sapeva dove andare, e quella vita fu subito senza senso per lui (ma non seppe fare a meno di Genova, dove poi si è perso).
L’inesistenza del Sud è la cancellazione del suo modo di essere, ciò che si condensa nella “tradizione”. Per l’acquisizione supina di modelli che, se promettono l’integrazione in realtà superiori (migliori, aggiornate), più spesso cancellano invece ogni consistenza.
Autobio
Varie specie alimentari nutriamo di speciale sapore e ottime opportunità di mercato, quale oggi si configura, che pregia le varietà. La castagna ‘nserta (innestata), grande, dolce, mondarola. I pappaluni, fagioli bianchi di Spagna, a Roma ciavattoni – ma dal gusto più denso, al sapore di castagna e acqua pura di vena, macerata attraverso vari minerali, terreni, radici. I vajaneji (baccellini), fagiolini del tipo corallo, con i fagioli dentro in via di sviluppo, del mese di agosto, per minestre dai sapori variati e densi. Funghi che l’industria conserviera lombardo-svizzera considera di proprietà organolettiche superiori.
Ma nessuna di queste specie ha generato un’industria: ortofrutticola, conserviera, della ristorazione. C’è solo un pizzeria in paese, che non cucina questi alimenti.
Sulla
castagna si è imbastita un’industria che tiene campo per tutto l’autunno in tre
quarti d’Italia, dal Piemonte alla Sabina, per farine, salse, pietanze,
salse, dolci, sagre, e vendite al minuto a prezzi d’oro – è il prodotto
agricolo che si vende più caro, pur
essendo il meno costoso. Noi della castagna ‘nserta non sappiamo nemmeno
con che è stata innestata. I pappaluni il dizionario del Rohlfs non registra:
il suo informatore, l’arciprete Carrozza, deve aver trascurato di segnalarglieli
– un fagiolo non è materia nobile?
Siamo al
vertice dell’area olivicola più grande e spettacolare del mondo, la piana di
Gioia Tauro, ma non ne abbiamo l’industria. Neanche basilare. Neanche politica,
anche se gli assessori non mancano e una “giornata dell’olio” non si nega a
nessuno. Abbiamo cultivar caratterizzate, sinopolese, ottobratica, con
proprietà di gusto e organolettiche ben differenziate, e non sappiamo farne un
marchio. Mentre la Sabina, dove non ci sono più olivi, e la Toscana, hanno una
dop (l’olio si può vendere al triplo) – per non dire del lago di Garda, dove
gli olivi non ci sono mai stati, se non come decorazioni in giardino.
Si parla molto in famiglia, di ogni evento, importante o banale. Col silenzio. Lo sguardo. Le pause. Per inteso.
Questa “lingua” muta è di grande comunicazione, presupponendo un collaudato linguaggio familiare. Dei genitori fra di loro, dei genitori con i figli, dei figli tra di loro. Di significati, sfumature di significati, e giudizi di valore condivisi nella comunità. Sedimentati. Sicuri, cioè immodificabili.
Il familismo si alimenta di questo linguaggio muto, dell’intimità. Ma non è una brutta cosa – sono molto peggio le famiglie dove non si parla, con danni psicologici e sociali. Il problema è che questa famiglia non espelle, come un nido che non si chiudesse avendo completato la sua funzione con la nascita, il primo nutrimento e il primo volo.
La strada principale è tortuosa e lunga, seguendo l’altimetria scoscesa del paese, e la curva della valle in capo alla quale è adagiato. Un tracciato da vecchia strada statale, che segue le anfrattuosità del terreno, con pendenze accentuate. Dovrebbe avere dodici metri di larghezza ma a tratti ne ha dieci, rendendo la circolazione problematica ora che un lato della strada è preso dal parcheggio. Bisogna destreggiarsi quando s’incrocia una macchina in senso inverso, si formano ingorghi. Ora siamo fermi. Tra una Mercedes 220 Slk, uno spiderone Mercedes, una Audi Q5, una Bmw 7, che da sola occupa tutta la strada, e un grosso Vw di nome Touareg, così, alla francese. Tutte macchine che costano tre e quattro volte la piccola Alfa di proprietà. Più spese doppie di bollo, e forse di benzina e assicurazione. Roba da 100 mila euro di reddito l’anno, almeno.
È bello sentirsi tra cinque ricchi. Ma inquietante. Non saranno macchine di seconda mano? No, non usa più ritargare le macchine, e le targhe sono recenti: le macchine sono vere. L'Audi Q 5 è appena uscita.
Oppure si cammina per strada in solitario, s’incontrano solo macchine. Pazienti, evolvono tra le macchine in sosta, si regolano su sensi unici alternati, con attese, retromarce e salite sul marciapiedi, e vanno e vengono instancabili. Anche i saluti e le conversazioni si fanno in macchina, incrociandosi. È una delle ragioni per cui si formano ingorghi.
Anche gli scout, la domenica, vanno in macchina.
Si facevano escursioni nel tempo libero o i giorni di festa, a mezza costa, fino all’altopiano, o in cima alla montagna, di una, due o tre ore. Ma il sentiero non c’è più, tagliato dalle recinzioni.
La messa delle 8.30 la domenica, un tempo la più affollata dai ragazzi, perché durava poco, ora è deserta. Le anziane sole sono andate alla prima messa alle 7. Le famiglie andranno a quella solenne delle 11. I ragazzi erano in attività presto la domenica, per le strade, in piazza e in chiesa, svegli all’orario di scuola ma con tutto il tempo per loro. Ora non si vede nessuno. Le mamme non vorranno che i figli vadano in strada. O con la televisione la sera vanno a letto tardi. Ma non si formano più gruppi, neppure i giorni feriali: non c’è più lo spirito di gruppo.
Ogni giorno di più, da troppi anni, la visione, frontale e laterale, è di una favelha sudamericana: case come tuguri, di pali di cemento e mattoni forati, ammassate le une sulle altre, dietro tubi di plastica colorati e rifiuti, in sacchi e sfusi, brande, materassi, cucine, frigoriferi. Spesso delle case è abitato solo il piano terra, nel senso che è finito, con le imposte e i pavimenti. Ma anche al piano terra c’è chi butta i rifiuti dalla finestra, piuttosto che portarli fino ai cassonetti. Una veduta estemporanea dell’ottimo pittore Michele Frisina documenta non molti anni fa un paesaggio modesto ma integrato, nella natura e nell’urbanistica, e non pare vera. Il paese si disponeva un tempo a conca su giardini e frutteti digradanti verso gli ulivi della piana di Gioia Tauro, una sorta di giardino di Armida, una selva monotona alla vista, di ulivi verdegrigio, ma piena di sorprese, e sul mare vero e proprio che guarda le Eolie. Ora non più, massicci casoni di tre e quattro piani, per venti e trenta metri di lato, hanno preso l’orizzonte. Costruiti non per uso, anzi inabitati perlopiù e mai finiti, la popolazione si è dimezzata, ma per ostruire la veduta al vicino. Non ci sono più le farfalle, gli antiparassitari non lo consentono. Né le rondini, che arrivavano ogni anno un pomeriggio tiepido di primavera, sotto ogni balcone si facevano un nido, e ci proteggevano dalle zanzare, insettivore – ora ci vogliono gli antiparassitari. Anche di notte, le luci nel buio terso e nel silenzio non brillano più. Lo smog non c’è, forse è il malanimo a ottundere l’aria.
leuzzi@antiit.eu
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