La giudice di Reggio Calabria Alessandra Cerreti, non si può dire perché ha impiantato processi in quattro anni a un paio di migliaia di mafiosi, ma sostiene con “Io Donna” che “esiste persino la «ninna nanna du malandrineddu»”. E che ci sono figlie di mafiosi che se ne liberano con facebook: “A volte intraprendono relazioni in rete e per la prima volta, magari a 30 anni, sono corteggiate non come figlie del boss ma come donne”. Cioè, sembra pure crederci.
Gli olandesi Evola trova, come gli scandinavi,
“degenerati”. Un inciampo al razzismo: “Queste popolazioni sono nelle stesse
condizioni razziali oggi come lo erano due secoli addietro”, scrisse nel ’38 su
“Deutsche Volkstum”, “ma c’è poco da trovarci ora della disposizione eroica e
della consapevolezza razziale che un tempo possedevano”. Da qui la derivata del
razzismo spirituale, non funzionando quello biologico. Il razzismo va e viene.
Con la riuscita economica – la famosa grazia divina. Con l’umore, anche.
La
Cancellieri l’ha appena decretata, aveva paura di che?, ma non si trova la
contiguità. I carabinieri non le trovano uno straccio, neanche una fotografia,
magari di un’entrata nello stesso bar con un
mafioso anche se in tempi diversi, e la ministra tenta ora di tirarla in
lunga col commissariamento. Perché se si votasse subito a Reggio riceverebbe un
graveolente pernacchio. Mentre quando di voterà lei non ci sarà.
Se il
“contiguo” Arena però rivincesse le elezioni a Reggio Calabria, sarebbe in
virtù della mafia. Non si scappa.
“Un miliardo per non
costruire il Ponte”, calcola “Milano Finanza”. Per progettazioni e studi
d’impresa. Un altro caso di spreco. Forse di corruzione, seppure legale. Ma che
c’entra la Calabria? E la Sicilia?
La mafia è araldica
I
carabinieri sono specialisti di fotografie e alberi genealogici. Da
quarant’anni, da quando l’allora colonnello Morelli li inventò a Reggio
Calabria, con le notizie che gli fornivano alcune polizie di emigrazione,
canadesi, australiane, francesi. Ponderosi volumi di ascendenti, collaterali e
discendenti, con affiliati e consigliori. Dettagliati allo spasimo.
Impreziositi da ampi quadri d’assieme, disegnati originariamente alla china
(oggi è più facile col computer) su più pagine a soffietto. Mai l’araldica fu più documentata e celebrativa come per le
famiglie mafiose.
Di tanto
in tanto, ogni venti o trent’anni, i carabinieri arrestano uno o più
capifamiglia. Diciamo a ogni ricambio generazionale. Sistemano i figli e ogni
altro avente causa nelle caselle degli arrestati, e aspettano altri vent’anni.
Uno penserebbe che il delitto debba essere punito subito. E invece no: dev’essere
documentato. Aggiornato. Dettagliato. Esteso, con le zone grigie, le zone
d’ombre e ora la contiguità.
Le mafie
sono come allevamenti di pesci che i carabinieri tengono vivi per chi voglia
pescarvi, giudici, giornalisti, politici.
Il “Sud” è italiano
C’è dappertutto un Nord
e un Sud, una divisione che vuole segnare la prevalenza del primo. Ma solo in
Italia la divisione è segnata dal disprezzo. Non in Francia, dove è semmai un
certo Nord, chiuso, grigio, a far
sorridere, e anche ridere. L’Inghilterra, che il Nord ha rovesciato, non
disprezza Belfast, o il Galles – né la Scozia quando era povera. In Spagna la
democrazia, un tempo cioè di trent’anni o poco più, ha fatto del Sud
poverissimo e arretratissimo, l’Andalusia, il cuore ancora pulsante dello Stato
unitario, con i trasporti, l’agricoltura, il flamenco, e le “due anime”,
atlantica e europea. In Germania gli amburghesi non disprezzano i bavaresi,
tanto più che questi sono più ricchi – lo “Spiegel” amburghese era in guerra col
leader bavarese Strauss, ma la contesa era politica. Né i bavaresi o gli svevi
disprezzano il Nord: da cinque ani una polemica anche aspra oppone la Baviera e
il Baden, le regioni chiamate a pagare i disastri delle banche (in realtà finanziarie)
politiche del Nord, la WestLB e la Ikb del
Nordreno-Vestfalia (Düssedorf), ma senza disprezzo.
Il disprezzo del Sud
Italia è l’esito dell’unione, mal concepita e mal realizzata, con tutta la
simpatia di Garibaldi. Ma è di più, dopo centocinquant’anni, il segno maggiore
di una debolezza che bisognerebbe pensare intrinseca al Sud. È inevitabile che
la “questione meridionale” si gonfi, ora di mafia e di antimafia, invece di
riassorbirsi.
Napoli
Muore Achille Serrao, il poeta campano del
tardo Novecento, sconosciuto. Le sue poesie, raccolte nel volume “Cantalèsia”,
sono pubblicate a New York
Trattandosi di bambini, sono naturalmente
commoventi. “Desidero che polizia e carabinieri arrestino tutti gli spacciatori
e non li facciano uscire più”. “Vorrei essere ricco per dare io i soldi agli
africani per fare la spesa”. Ma quello che scrivono nel libro di Paolo
Chiariello, “I sogni dei bambini di Scampia sono desideri” è solo naturale: c’è
innocenza a Napoli. Anche a Scampia, che la malavita vorrebbe sua fortezza.
Salvatore “Sal” Strazzullo è nato a Napoli ma a
sette anni è partito coi genitori per New York, ed è ora, a 40 anni, una celebrità
di Manhattan come avvocato delle celebrità nottambule. È in tutto americano, ma
mette Napoli sopra a tutto, il posto, il clima, i dintorni, le camicie, le
cravatte, i vestiti di Isaia, la cucina.
Da quando la riscoprì adulto: “Nel 2000 arrivai a Napoli”, racconta a
“Panorama”, “prenotai una suite all’hotel Vesuvio. Rimasi affascinato da come
gli avvocati vengono trattati in Italia. Sono cosa seria, non come qui in
America”. Non tutto il male viene per nuocere?
È scenario scelto per il noir italiano, il genere giallo violento. Nei romanzi e al cinema.
Ma senza il fascino che il noir di
origine, americano, assegna ai suoi settings,
Los Angeles, San Francisco, Chicago, perfino la grigia Philadelphia di Goodis, per
un’ovvia compensazione-attrazione rispetto alle storie trucide che vi si
ambientano. Napoli è scenario scelto in quanto rifiutato, senza sole.
Napoli questo fascino ce l’aveva, l’ha
mantenuto e anzi rafforzato anche nella storia negativa che l’unità le impose.
Ma l’ha perduto da qualche decennio, da quando è diventata scenario vero, non
fittizio, di storie violente.
Pentiti
Si può dire Tommaso Campanella una delle prime vittime dei
pentiti. Trattando del suo ruolo nella presunta congiura antispagnola per la
quale si fece 27 anni di carcere, Rosario Villari a un certo punto dell’opus magnum “Un sogno di libertà”, sulla
Napoli del primo Seicento, si sorprende: “Appare sorprendente l'attribuzione a Campanella del disegno di
convogliare in un movimento antispagnolo di indipendenza le esasperazioni ed i
fermenti della crisi sociale, spirituale e politica di fine secolo. La
sua cosiddetta congiura (1599) oscillò, secondo le dichiarazioni e le denunce
dei suoi accusatori, fra tre soluzioni non solo inverosimili in se stesse, ma
anche tra loro contrastanti. Il trasferimento del Regno al Papa, la sua
annessione all’impero turco, e la creazione d’una repubblica, di “una città del
sole”, tra i boschi, le città e le valli, belle e spesso devastate da alluvioni
e frane, dell’Aspromonte”.
Lo storico attribuisce sì un ruolo, come già Luigi Firpo
65 anni fa, a Campanella nella domanda di libertà che poi sfociò in un progetto
di Repubblica indipendente dalla Spagna. Ma non ne fa uno scemo, come Campanella
stesso ribadì più volte ai suoi giudici torturatori: “Ch’un solo fraticello volesse ribellare un regno dal più possente
monarca del mondo”.
Campanella era
già stato arrestato cinque volte, benché non ancora trentenne, in varie città
per i suoi scritti filosofici – era, come poi Tortora, “preda nota”. A
denunciarlo per primo a Napoli fu un calabrese, suo concittadino di Stilo,
Scipione Prestinace: condannato a morte per reati comuni, prima dell’esecuzione
della sentenza nel 1597 tentò di ritardarla denunciando diversi suoi
conterranei. Prestinace denunciava però Campanella come eretico e non come
rivoluzionario, e il viceré di Napoli non se ne preoccupò.
“Il dolore più
acuto è evidentemente il pentimento”, dice Kierkegaard, “Il riflesso del
tragico antico nel tragico moderno”. Basta un pentito di mafia a smentire un
filosofo?
New York Times vs. Calabria
Una pagina del “New
York Times” il 7 ottobre, di Rachel Donadio e Gaia Pianigiani, dice l’A 3, la
Salerno-Reggio Calabria, “iniziata negli anni 1960 e ancora non finita”, piena
di “cantieri che si sono trascinati per decadi”. Un caso esemplare, dice, del fallimento dello
Stato. E “un simbolo di quanto alcuni paesi del Nord Europa dicono di temere di
più dalla zona euro”: che diventi “un sistema assistenziale nel quale tocchi a
loro sostenere un incapace Sud Europa”. Dove i soldi si perdono nella corruzione:
“Dal 200 al 2011 l’Italia ha ricevuto dall’Unione Europea oltre 60 miliardi”, in
gran parte indirizzati al Sud, “con poco più di un’autostrada mezza completata da
esibire”. Eccetera eccetera, con una
serie infinita di ruberie e delitti.
Non molto concludente, altri paesi europei “ricevono”
di più per esempio, ma cattivo. Abbastanza da far annullare la promozione della
Regione Calabria presso la Niaaf, l’organizzazione degli emigrati italiani
negli Usa. Con un danno di qualche milione, oltre che del progetto, non
insensato. Non c’è partita. Il titolo, “Corruption is seen as a drain on Italy’s
South”, diventa sul sito e sulla rete, imperituro, “In Italy, Calabria is
drained by corruption”.
leuzzi@antiit.eu