Avulsi, i passi sono di forte impatto. Orientati, anzi apodittici e in certo modo ultimativi, come si vuole il pensiero di S.Weil: semplice e inoppugnabile. “Nessun essere umano sfugge alla necessità di concepire al di fuori di sé un bene verso il quale volgere il pensiero in un movimento di desiderio, di supplica, e di speranza”, e qui entra in ballo Dio. Come è pure vero che “il regno della forza” è ovunque, non solo tra ricchi e poveri. Senza omettere la sofferenza, che è la vera esperienza di Simone Weil: “La sofferenza rende Dio assente, più assente che un defunto, più assente della luce in una cella d’isolamento”. Ma è in questo vuoto che Dio può manifestarsi, Dio si è ritirato in segno di amore. Molto Simone Weil, mistica ragionativa, ripete Platone, che dice “un autentico mistico, e anche il padre della mistica occidentale”: senza un ideale di giustizia, non si soffrirebbe l’ingiustizia.
Curiosa rigenerazione di un genere perento, questa di Steffens, il sermone. Con prediche non inutili: fanno rivivere Dio e il cristianesimo (creazione, incarnazione, passione, eucaristia) attraverso la sofferenza e l’abbandono. Giovandosi dell’“ermeneutica dell’ermeneutica” in cui Simone Weil eccelle – l’ermeneutica è sempre esercizio allo specchio, ma in S.Weil con lampi illuminanti.
Simone Weil, a cura di Martin Steffens, 15 Meditazioni, Gribaudi, pp. 104 €7,50
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