Destra-Sinistra - Il fascismo non fu di destra, torna periodicamente con Evola il
tormentone: “Non siamo fascisti né antifascisti, l’antifascismo è nulla, il
fascismo troppo poco”. I balilla, le adunate, le masse? Roba da Homo Sovieticus.
Céline era del parere, perfido. E Pound ammirato: Mussolini e Stalin uniti
nella lotta. O Lawrence d’Arabia. La destra è indocile. Anche
Schopenhauer mai fu succube, non alla filosofia dominante, nella quale ambiva
entrare. La barbarie è l’uguaglianza. Il popolo,
che l’uguaglianza subisce, si difende con la furbizia.
Filioque – Una
“e” divide la chiesa romana da quella bizantina. La controversia è nota,
vecchia di oltre un millennio, insanabile a molti tentativi di conciliazione
illustri, compresi i concili di Ferrara e Firenze. Se cioè lo Spirito Santo
discenda la Padre e dal Figlio, come
recita il “Credo” latino, oppure no. La controversia sulla e era stata preceduta da quella sul da tra Tertulliano e Marcione. Tertulliano aspro rimproverava a
Marcione, e la contesa fu lunga: “Voi dite che Cristo è nato a mezzo di e non da una Vergine, e ancora, “in una matrice e non da una matrice”. La teologia è
intollerante, anche se non sa di che cosa.
Islam – Nella battaglia sempre perdente dell’immagine e della modernità (diritti dei deboli, democrazia), l’islam punta ultimamente a distruggere uno dei suoi pilastri, fino al tardo Novecento ancora incontestato: la cultura. La storia. In Afghanistan, nel Corno d’Africa, in Algeria, nel Mali.
Il
colonialismo non avrebbe saputo fare di più. È curiosamente l’argomento di Jean
Michel Djian, professore di scienza politica a Parigi, che ha voluto produrre
in controtendenza “La manuscrits de Tombouctou”, una testimonianza della “fantastica
biblioteca” Hamma-Haidara della città maliana. Un capitale, afferma, che fu
tenuto a lungo nascosto dagli interessi convergenti dei griots, i cantastorie guardiani della storia orale, molto forti
socialmente nel Mali, e delle amministrazioni coloniali.
Djian
aveva avviato il suo progetto all’indomani della famosa gaffe di Sarkozy a Dakar
nel luglio del 2007: “L’uomo africano non è entrato a sufficienza nella storia”.
E lo ha affrettato dopo l’occupazione il 2 aprile della “città dei 333 santi”
da parte di uno dei tanti gruppi Ansar, difensori, della fede, dell’islam,
della tradizione. Che subito dopo, il 30 giugno, distrussero, nel nome della
fede e della tradizione, una quindicina di mausolei secolari di santi.
Italia – È vittima
dell’Ottocento. Anche se illustrò il secolo con l’unica vera rivoluzione
nazionale, sentita, combattuta, e riuscita. Suscitò il pregiudizio in una con l’affermarsi
del nazionalismo nella storia europea, con l’ideologia dei primati. Che anche
l’Italia adottò, ma senza convinzione. Mentre altrove essa è passata sopra a
ogni velatura o dubbio. Già nel 1822 Beethoven sordo spiegava a Rossini che l’opera
non fa per gli italiani – dopo averci tentato inutilmente, con tre ouverture per un’opera di cui fu
incapace, “Leonora”, e un “Fidelio” che si rappresenta giusto perché è
simpatico.
È
vittima, nell’Ottocento, della Restaurazione. Che la tagliò fuori dall’Europa,
con l’eccezione del Piemonte - anzi dei cavourriani o liberali, non la
maggioranza, del Piemonte. Anche nel resto d’Europa c’era la Restaurazione, ma
il seme della Rivoluzione non marciva. Si prosciugavano le paludi, s’irrigavano
le colture, si scolarizzavano le masse, si costruivano strade e ferrovie, si
creavano industrie, mentre in Italia bisognerà aspettare da cinquanta a cento
anni. All’unità erano analfabeti due italiani su tre – all’estremo opposto, in
Prussia e in Svezia, uno su cinque. Anche l’unità si fece nell’ignoranza, dei
dialetti, delle culture e perfino della geologia, lo diceva Cattaneo. L’agro
romano sarà risanato soltanto negli anni 1920-1930.
Si
può anche dire l’Italia vittima di se stessa. Il pregiudizio si coagulò con la
Restaurazione non per speciale malanimo d’oltralpe ma per un evidente lag, normativo, produttivo, culturale,
che si creava nella penisola. Per effetto della politica retriva dei principi,
ma anche per una singolare debolezza del suo ceto intellettuale. Acuta negli
studi storici. E ancora di più nella storia ormai lunga della Repubblica. Le
uniche storie della Repubblica sono di storici del Pci. Si contano gli studi,
nei settant’anni della Repubblica, non contemporaneisti.
Ci
sono più studi all’estero, specie nel mondo anglosassone, negli anni della
Repubblica, su Machiavelli, Mazzini, lo stesso Garibaldi, il Risorgimento, la
nascita del “Mezzogiorno”, che in Italia. Mazzini, per esempio, è scomparso
totalmente. Di cui molto si è parlato a Harvard un anno fa, in una tre giorni
di studi su Margaret Fuller, che fu a Roma corrispondente della “New York
Herald Tribune”, e di Emerson, negli anni della Repubblica romana. Mazzini che
in America si considera l’ispiratore del nazionalismo liberale. Così celebrato
dal presidente iperdemocratico Wilson a Genova nel 1919: “Sull’altro lato dell’oceano
abbiamo studiato la vita di Mazzini quasi con lo stesso orgoglio come se
partecipassimo alla gloria della sua storia, e sono felicissimo di riconoscere
che il suo spirito ci è stato trasmesso, a noi di una più tarda generazione, da
entrambi i lati dell’oceano”.
Mercato – Fallisce, sta
fallendo da ormai sei anni, sui due suoi presupposti: l’equilibrio tra domanda
e offerta, il ruolo equilibratore dei prezzi. Non c’è equilibrio, non c’è
infatti riequilibrio da sei anni nei mercati finanziari, malgrado i tanti
tentativi e l’impegno della politica più forte, per esempio negli Usa. Essi
sono oligopolistici, dominati da minoranze, si può dire per natura, e
fatalmente confluiscono in gruppi di potere. Né c’è incontro tra domanda e
offerta di lavoro in base ai prezzi. La caduta dei salari nelle economie
sviluppate, perfino dei salari nominali oltre che di quelli reali, non porta a
più occupazione. Influisce infatti negativamente sulla congiuntura, e quindi
sull’occupazione stessa, riducendo la domanda.
Nobel – Si può dire
il premio al disordine economico, se non alla speculazione. Premia da troppi
anni ormai economisti motivazionali – psicobiologi, sociologi, filosofi - e
matematici legati all’industria finanziaria. Consulenti di modelli
motivazionali o matematici che inevitabilmente conducono al fallimento,
aziendale o di interi sistemi economici come è il caso dal 2007. A spese del
mercato, cioè del risparmiatore. Scienziati che migliorano (affinano, arricchiscono)
il gioco per il banco, a carico sempre e comunque del singolo giocatore. Solo
un po’ meglio - più sofisticati - del vecchio truffatore che paga lauti
interessi per poi scomparire col capitale. Non un modello econometrico, o un
algoritmo, è stato approntato, forse nemmeno studiato, a protezione dei giocatori.
Perdenti quindi a maggior ragione grazie ai Nobel.
Si
può anche arguire che la scienza non è lineare, perlomeno non la scienza
economica. Ammesso che l’economia sia una scienza, cosa, sotto i colpi dei
Nobel, sempre più contestata.
astolfo@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento