Non
c’è vertice europeo che non lo confermi – l’ultimo la scorsa notte. Non c’è mai
stato, nella crisi europea ormai lunga di quattro anni, un intervento risolutore, quale era possibile.
Ma solo un disegno, contorto però inflessibile, di portare la Ue a un altro
assetto grazie alla crisi.
Immaginare
un governo tedesco “schiacciato sulle birrerie” è folklore. O credere a una
Merkel in bambola degli illustri economisti alla Monti, dell’aneddotica che si
fa cucire addosso. Angela Merkel e i suoi consiglieri Weidmann, Weber, Stark, hanno
un progetto e intendono imporlo. Lo spread è esploso da quando le banche tedesche hanno
venduto in poche ore otto miliardi di Btp. Che non sono molti, meno dell’1 per
cento del debito in essere, ma venduti tutti insieme hanno fatto valanga. Non
provocata da inesperti.
Ciò che la Germania vuole e ciò che non vuole, essendo in
grado di imporlo, è peraltro chiaro. I fondi di salvataggio europei, Efsm e Esm, sono soggetti al
veto tedesco. L’uso di questi fondi è condizionato da regole recessive sui
recipienti. Non ci sarà vigilanza bancaria europea, non subito e non in un
tempo prevedibile, perché la Germania non vuole assoggettarle le sue Landesbanken,
le finanziarie regionali che sono il polmone del sottogoverno e piene di buchi. Non ci
sarà un “bilancio europeo”, non si tratta di questo: ciò di cui si sta
trattando è un potere di veto tedesco. La Germania non vuole gli eurobond non perché si assumerebbe il debito di altri
paesi ma perché essi libererebbero gli altri paesi da tassi iugulatori: gli
eurobond spunterebbero tassi alla pari con le obbligazioni americane o giapponesi,
e forse migliori.
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