mercoledì 17 ottobre 2012

La legge è degli sbirri


La tristezza dello Stato-mafia è vedere la mafia nella giustizia, la giustizia non altrimenti che mafiosa. Una indagine in cui non ci potrà essere verità, perché nata e svolta su proponimenti e modi mafiosi: insidiosa, perturbatrice, illegale.
Dunque tre Procure indagano sulla stessa ipotesi di reato, con tre diverse valutazioni degli stessi “testimoni” (tutti volontari) e tre diverse conclusioni: Firenze per il no, Palermo per il sì, Caltanissetta per il ni. Tre Procure dirette rispettivamente da un giudice finiano, da uno democratico, e da uno di centro. È un fatto. Anche non sorprendente: era iscritto nell’antimafia del ventennio, dopo la conquista del potere degli ex missini e degli ex comunisti a opera dei giudici, e la “privatizzazione” della giustizia.
La fine della Procura antimafia, che dopo vent’anni, vivo Falcone, ci avrebbe liberato della mafia invece di infettarcene, è anch’essa incontestabile, nei fatti. Protervamente trasformata in duecento o più Procure distrettuali antimafia, costose, dannose, dove si registrano, quando si fa, le carte per gli atti. Il tempo occupando su crimini dilettevoli e non rischiosi, il calcio, le escort, i pranzi dei deputati e delle loro amanti, le raccomandazioni, compreso l’inafferrabile voto di scambio, e quando serve, contro i nemici personali e politici, un “concorso esterno in associazione mafiosa”, oggi allargato dalla Cancellieri in “contiguità”. Scansando con attenzione le cosche. Con duecento altri posti di Procuratore capo, in aggiunta a quelli che già dobbiamo pagare, una carica che si vuole autorevole e per questo molto pagata, anche se non governa nulla e tutto il giorno non fa niente. Invece che una Fbi italiana, camera di compensazione delle informazioni e struttura agile d’intervento, un gabinetto di intrighi, duecento gabinetti. Quante sghignazzate e quanti “complotti” nelle Procura antimafia, mentre per le strade, a Napoli, in Sicilia, in Calabria, si spara, si incendia, si incassa il pizzo.
La corruzione della giustizia, di tutto l’apparato repressivo, è inimmaginabile tanto è diffusa, “costitutiva”. Volendo razionalizzare, è una cultura della “trappola”, da vecchi sbirri invece che da moderni agenti della legge. Che via un compiacente giornalismo, ha infettato l’opinione. È ora un morbo pervasivo, ed è tutta la storia della Seconda Repubblica. Travasato perfino nella letteratura, oltre che nei giornali. Nella propensione al giallo, la sola lettura degli italiani di questo ventennio: la voglia di”far fuori”, la legge dello sbirro. Ma come derivata della giustizia: sono i giudici che si vogliono e ci vogliono sbirri.
Uno pensa di parlare con un medico, un avvocato, uno stimato professionista, magari in politica, a piede libero e senza carichi pendenti, e zàcchete, se serve e quando serve, ecco una fotografia compromettente dei carabinieri. I mafiosi invece agiscono liberamente, verranno presi a fine carriera, dopo venti o trent’anni. Quando i conti sono irrintracciabili, quelli veri, ed è arrivata l’ora di passare la mano: non c’è fretta. 

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