“Le Faiseur” è l’ottavo e ultimo dei ripetuti tentativi di Bazac di sfondare nel teatro, in un progetto
economico più che artistico, senza successo. Quest’ultimo tentativo il successo
lo avrà, e duraturo, ma postumo. Anche in Italia: da alcuni decenni in disuso, si usò a lungo rappresentarla col titolo “Mercadet l’affarista”. Iniziata nel 1839, nel pieno dell’affarismo
della monarchia orleanista, da un legittimista Balzac tuttavia non molto
scandalizzato (il re Luigi Filippo non sbagliava mai un colpo in Borsa), la
commedia fu completata nel 1848, al
ritorno della Repubblica, due anni prima della morte dello scrittore.
Faiseur il curatore Philippe Berthier riporta a Vidocq, l’ex criminale divenuto capo della polizia che lo aveva repertoriato nel 1836, nell’enciclopedica epopea “I ladri”, come termine argotico per maneggione, truffatore: uno che s’indebitava per poi fallire. Balzac ne fa una vittima dei suoi stessi intrighi, della smania di manipolare, inventare, creare: un imprenditore, si direbbe oggi, non prudente, uno dalla straripante fantasia, illusoria. Venditore, si dice qui, di “merci fantastiche”. Riuscendo a divertire il pubblico.
Faiseur il curatore Philippe Berthier riporta a Vidocq, l’ex criminale divenuto capo della polizia che lo aveva repertoriato nel 1836, nell’enciclopedica epopea “I ladri”, come termine argotico per maneggione, truffatore: uno che s’indebitava per poi fallire. Balzac ne fa una vittima dei suoi stessi intrighi, della smania di manipolare, inventare, creare: un imprenditore, si direbbe oggi, non prudente, uno dalla straripante fantasia, illusoria. Venditore, si dice qui, di “merci fantastiche”. Riuscendo a divertire il pubblico.
Ripreso costantemente, “Le
Faiseur” è infatti, benché marginale e quasi sconosciuto nella copiosa bibliografia
balzacchiana, un successo popolare. Faiseur
è del resto etimologicamente il poeta. E
Mercadet, il faiseur di Balzac, per
molti aspetti lo è: non è avaro e nemmeno avido, è testimone quasi oggettivo
della sua (e altrui) rovina, solo posseduto dal demone del fare, moltiplicare, fantasticare.
Non diverso da Balzac, le cui mirabolanti imprese fallimentari non si contano,
tra le altre le miniere d’argento in Sardegna, o le piantagioni di ananas a
Passy, cioè a Parigi.
Jules Janin apparentò subito il
Mercadet-faiseur di Balzac a Robert Macaire, il cattivo della scena francese, più sbruffone che criminale, uno sempre
capace di tornare a galla, per l’immaginazione fuori dell’ordinario. Inventato
da Frédérick Lemaître (su un testo di Benjamin Antier e Saint-Amant, i suoi sceneggiatori)
nel 1823, sotto il titolo “L’Auberge des Adrets”, ripreso dallo stesso Lemaître nel
1834 come “Robert Macaire”, con un “successo colossale” – di cui resta oggi traccia
in “Les enfants du Paradis” di Carné, dove Brasseur impersona Lemaître come
Robert Macaire. Il personaggio divenne soggetto di Daumier, di cancan, di carnevali.
Ogni teatro volle un suo Macaire - e uno fu rappresentato col titolo “Une émeute au
Paradis”. Ci fu un’ondata di “Robertmacarismo”, lamentò “Henri” Heine, parigino
acquisito, che vedeva nella risata invece che nella deplorazione del crimine una
rischiosa deriva morale, ma ne fece un genere: lo scherzo, la buffoneria, l’affettazione
della generosità e dell’onesta dietro l’impudenza e il vizio. Lemaître, padrone allora della
scena parigina, si assunse anche l’onere di rappresentare Balzac – e quando ci
riuscì, nel 1840 con “Vautrin”, si fece subito bloccare dalla censura, avendo
rappresentato nel protagonista una caricatura del re speculatore.
Berthier ci trova invece molti
calchi del “Turcaret” di Lesage (1709), che è propriamente “Turcaret o l’uomo
di finanza”. Con una differenza: il Turco “senza fede né legge” è sostituito da
Mercato, un italianismo per mercato. E con un anticipazione: anche qui si
aspetta un Godeau – solo la grafia è diversa.
Balzac, Le Faiseur, GF
Flammarion, pp. 189 € 5,50
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