“Confessions of a younhg novelist”, poubblicate a Harvard un anno fa. Cominciando dal “catalogo delle navi” dell’“Iliade” e finendo con Calvino e Borges, Eco repertoria una lunga serie di elenchi di cose, più o meno ipotetiche. Che rispondono a un tentativo, dice, di fissare e padroneggiare il mondo. Ma gli elenchi sono secchi, come se la parola non coinvolgesse chi di suo non è già coinvolto. Mentre coinvolgono le illustrazioni che a un certo punto della sua ricerca Eco ha ritenuto di dover allegare alle liste. Sono quadrerie, reliquiari, battaglie, fabbriche, corti e cortigiani, macellerie, scatolette Campbell’s, arte povera, arte narrativa, del Tre-Quattro-Cinquecento. E la libreria naturalmente. Le “liste” illustrate sì, inducono, come dice lui, la vertigine da “elenchi infiniti”.
Le forme sono molto più pregnanti
delle parole, in questi “elenchi visivi”. La lista coagulando in un colpo
d’occhio, invece di dipanarla semanticamente o cronologicamente.
Eco lascia fuori i blasoni, che la
parola hanno la virtù di vivificare con l’immagine della cosa. E l’arte astratta,
che della ripetizione fa un’ontologia – la costanza delle forme nell’oggetto –
nella visione.
Umberto Eco, La vertigine
della lista, Bompiani Paperback, pp. 408 ill. € 15
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