L’amore è “una delle indigenze dei
nostri giorni”. Nei quali “non trova posto , accoglienza, nella mente,
nonostante sia nell’anima del soggetto”. In questa specie di libertà che tutto
annulla, il pieno e il vuoto: viviamo “il lato negativo della libertà”, e “la
vita nella negazione è quella che si vive nell’assenza dell’amore”, scambiando
le passioni per complessi. Un testo del 1982, quindi anteriore alla liberazione
che ci attanaglia, e allora profetico. Certo, Zambrano non poteva prevedere che il Nobel andasse
nel 2012 a uno “scienziato” che cinquant’anni prima aveva formulato l’algoritmo
del matrimonio riuscito, ma ci vedeva chiaro, sapeva in che mondo di false realtà viveva - aveva
questo dono, fin da quando profetizzò giovanissima nella guerra l’“agonia dell’Europa” cui
ora assistiamo, non la guerra di Hitler, quella dell’atonia. Qui con la punta
acuminata, di cui nessun segno si trascurerebbe. Come e perché si arriva alla
negazione del divino. E conseguentemente dell’amore. Per la razionalità a basso
voltaggio che è tutta la nostra antropologia, “il credere che tutta la realtà, vita
umana compresa, sia composta di fatti sottomessi a cause che chiamiamo ragioni,
ritornando così al senso iniziale della «ratio» latina: dar conto”. Una
ragioneria che “include dentro sé i fatti dell’amore,…svuotato nella sua essenza
che tutto trascende”. Perché “l’amore trascende sempre, è l’agente di ogni
trascendenza”. E “se non ci fosse inganno, non ci
sarebbe trascendenza”.
È Platone, e di più. Un saggio breve,
questi “Due frammenti sull’amore” (cui è aggiunta “Per una storia della pietà”,
saggio del 1949), che si vorrebbe trascrivere a mo’ di critica parola per
parola, non recando una parola di troppo, o una che non si debba condividere.
Maria Zambrano, Frammenti sull’amore, Mimesis, pp. 42 € 3,90
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