Blurb – Riduce la critica letteraria a piccola pubblicità – “superbo”, “lirico”, “tragico”, “profondo”, “brillante”, “mozzafiato”, “uno dei capisaldi della letteratura del secolo”. Il giornale è un aggettivo. Senza che i giornali protestino: è pubblicità biunivoca. È anche ugualitario: il “Gazzettino dauno” vi fiancheggia il “Corriere della sera”.
In un aggettivo è l’opus esegetico, e che sia non raro
(pretenzioso).
Dei – Ritornano? Sono tornati in classifica
con Littell, “Le benevole”, e Banville, “Teoria degli infiniti”, per il grande
pubblico dei romanzi. Mediatori cioè di emozioni semplici e immediate. In una
lingua, e per un pubblico, quello anglofono, che si penserebbero i più remoti
dalla cultura classica. Mentre invece riescono ostici alla lettura, anche
critica, italiana. Magris per esempio, che ne critica l’uso in Banville. Pur
avendoli per primo qualche anno fa ripersonificati, nel monologo “Come lei
dunque capirà”, con una gigantesca Euridice e un piccolo Orfeo.
Gli dei hanno questo vantaggio, di essere
sempre speciali, una proiezione divina più a portata d’autore. “Non si fanno
con qualunque specie di legno”, diceva Apuleio.
Evola - I suoi funerali furono una
manifestazione fascista, l’ultima – la prima e l’ultima, nella Repubblica
democratica. Con un numero straordinario di gagliardetti: Far, Sam, Giovane
Italia, Fai, Legione Nera, Fabi, che è sindacato dei benzinai e Fronte
antibolscevico italiano, Arditi Bianchi, Mari, Movimento azione rivoluzionaria,
Patrioti della Montagna, Ordine Nuovo, con Rauti, Clemente Graziani, Paolo Signorelli,
Ordine Nero, Onore e Combattimento, e con Freda e Delle Chiaie, che ai processi
si dichiararono evoliani. O i Nar, che egli disprezzava ma aveva interlocutori.
Beffardo: il destino dei cattivi è di essere imprendibili, gli impuri di cuore.
Si sottraggono. Cioè non sono, non esistono. Fu una cerimonia bolsa, i fascisti
sono ignoranti, il defunto era ingombrante.
Evola era stato arrestato nel 1951 per due
attentati del Fronte Azione Rivoluzionaria, di cui era considerato l’ispiratore,
contro il ministro degli Esteri e contro l’ambasciata Usa – i neofascismo era anch’esso
antiatlantico. Al processo, dopo pochi mesi, era stato assolto.
È nato con “Bleu”, l’unica rivista dada
d’Italia. “La rivolta contro il mondo moderno” spiega fulminea a pagina 342 il
cristianesimo e la fede, senza confutazione possibile: è dottrinalmente una
forma estrema di dionisismo, facendo leva sul lato irrazionale dell’essere, che
in luogo dell’elevazione eroica, sapienziale e iniziatica pone la fede,
“l’empito di un’anima agitata e sconvolta spinta verso il soprannaturale”. Se
la religione fosse astorica, quale Nietzsche la pensava autodidatta, questa
sarebbe un’illuminazione illuminante.
Il razzismo, è evidente, è violento odio
di sé, dei disadattati, brutti, confusi. Evola non aveva torto, anche Roma è
nordica: i romani non sono dolicocefali biondi, ma erano legislatori, soldati,
e padri di famiglia, tutte virtù settentrionali. L’ha riconosciuto nel 1924 il New York Times: “Nella marea nordica che
affluì in Italia (dai goti in poi, n.d.C.) erano gli antenati di Raffaello,
Leonardo, Galileo, Tiziano…”, non di Michelangelo, notare. Lo stesso Colombo,
“a guardarne i ritratti, autentici o meno, era chiaramente di origine nordica”
per il quotidiano. Hitler, è proprio vero, hanno solo perso la guerra.
E tuttavia c’è più del sangue nelle tracce
di Evola: i fattori culturali della personalità e la razza, i miti fondanti, le
élites creatrici, il nuovo umanesimo.
Non l’Oriente, di cui era specialista ma che al solito è posticcio: per Marco Polo e
i gesuiti, e fino all’illuminismo, l’Oriente è il regno della ragione e la
tolleranza, di filosofi e poeti. Poi vennero la guerra dell’oppio e le
capitolazioni. Ora si tenta di riattivare l’antico paradiso, che non c’è più e
forse non c’era, residuava da Platone – facendo il giro da Alessandria a
Costantinopoli, nota Flaubert che l’Oriente sviluppa in lui in misura anomala
il senso del grottesco. Un Oriente che fa da specchio all’Occidente in crisi,
finito negli stermini di massa e le guerre totali del Novecento, e del
sentimento diffuso della crisi. Dovremo
fare i conti con l’ineffabile, l’incredibile, l’inammissibile di Evola.
Perfino l’orrore evoliano della democrazia
torna democratico, argomento del revanscismo fascista, nei milioni di morti
della guerra totale e della resa incondizionata. Democrazia diventa in questa
dottrina della guerra il suo opposto, indifferenza alla massa. Nelle due grandi
guerre la morte dei milioni ha nutrito le democrazie. Per effetto massa la
vecchia arte militare intendeva la concentrazione degli sforzi, la guerra breve
e chirurgica, ora sono massa i braccianti fatti mitraglieri e carne da
mitraglia, e i milioni di vecchi, donne e bambini bersaglio facile a scuola, al
mercato e in casa.
Finanza
–
“La finanza è una cosa a sé”, nota il filosofo Alain di Balzac. Che le ha
costruito sopra un mondo fantastico, esilarante, ben prima che con la
telematica divenisse anche fisicamente in qualche modo astratto. Il suo personaggio Mercadet, nome evocativo,
nella commedia della truffa finanziaria, “Le Faiseur”, il maneggione, vende “mercanzie
fantastiche”.
Il denaro si vive letterariamente
meglio, anche in Molière, nel “Don Giovanni” per esempio, nel “Tartufo”, nel
“Borghese gentiluomo”, ma anche nell’“Avaro”, nella sua dimensione magica e non
diabolica. La “magi del denaro” è tema di Hjialmar Schacht, il grande banchiere
che salvò la Germania dall’inflazione, e fu poi il banchiere di Hitler.
Matrimonio
–
Non ce n’è molto nei romanzi oggi, e quel poco è un rapporto di single, l’uno in guardia con (contro)
l’altro.
È anche il fatto quasi sempre di un single femminile. Della coppia oggi ha
più che mai diritto a parlare, e a decidere, la donna. Anche quando ne parla, o
ne scrive, un uomo. Il diritto di famiglia è al femminile, dovendo proteggere
il lato debole, e più ancora la common
law, la pratica giuridica. Anche la parte debole è da tempo, psicologicamente
e culturalmente, più spesso il maschio.
Dei tratti genitoriali che la rivolta
generazionale mezzo secolo fa ha negato e annacquato, la maternità è tornata in
rispetto, la paternità resta dissolta. Non c’è quasi letteratura del rapporto padre-figlio
(Lodovico terzi, Tabucchi, chi altro?), c’è abbondante sul rapporto figli-madre
soprattutto figlia-madre. Con la madre divorante. Che però non esime.
Polemica – Il genere sbirro.
Imperversa attraverso il giallo, la docufiction e la denuncia, dominante su
ogni altro, da tempo ormai “immemorabile”. Nata col giornalismo come diversivo,
volutamente umorale (Malaparte, Pasolini, Montanelli, Biagi), dilaga farcendosi
di luoghi comuni. Estesa alla letteratura e anche agli studi, umanistici,
storici, sociologici, perfino filosofici e scientifici. Come spia
dell’inautentico – non veritiero, non vero – e al fondo stucchevole.
È il vecchio memoriale delle questure.
Rinfoltito di intercettazioni (indiscrezioni, rivelazioni, esclusive). Principe
delle lettere è il denunciante, l’indignazione la cifra. Con l’animo dello
sbirro, del denunciante. La storia fatta dallo sbirro. Quest’epoca di libertà
sarà stata l’epopea dello sbirro.
Guerra civile è polemico, polemica è la
parola giusta: si è in guerra, in fondo, con se stessi. Si trovano ovunque
complotti e corruzione per una deficienza di ormoni. O per un calo degli
zuccheri.
Significati – Il rigore era dei morti, formidabile era la paura, il candidato
era uno candido, anche se solo nell’abito, la pecunia era la pecora… Le parole mutano
significato. Ma non senza significato. Oggi tutti lottano, con i figli, con i padri, sui campi di calcio, nei palazzi
di giustizia. Invece di fare quello che devono: giocare al pallone, giudicare,
portare i figli a scuola. Senza peraltro mobilitazione, straccamente. E complottano, gli altri: s’intendono,
maneggiano.
lettrautore@antiit.eu
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