lunedì 15 ottobre 2012

L’infinita sottigliezza degli affetti

“Il segreto della sopravvivenza è un’immaginazione difettosa. L’incapacità dei mortali a immaginare le cose come veramente sono è ciò che consente loro di vivere, giacché ogni momentaneo, inatteso balenio della sofferenza totalitaria nel mondo li annichilirebbe all’istante, come un soffio del più letale gas mefitico”. Gli dei hanno “stomaci più forti”: vedono tutto nella sua terribilità e non si spaventano. È il tema, ma è un’ipotesi e non un proposito: il racconto è del groviglio d’inaffettività dietro i legami forti, familiari e non, in forme lievi e sempre garbate, perfino sorridenti. Con una capacità affascinante di rendere palpabile l’impalpabile – involontario, incolpevole, ignoto.
Una scrittura ricercata, nella sintassi e nel vocabolario, che la traduzione di Irene Abigail Piccinini ha il dono di rendere meno irta, per un racconto ricercato.  E per il largo ricorso al mondo repentinamente scomparso della mitologia greca. Con un titolo originale indeterminato, “Infinities”, ma di un evento già deciso e scontato, un vecchio padre in coma, illustre e un po’ antipatico ma nulla più, fatto fibrillare per trecento pagine di non eventi. Azionati, e non, dal dio che li racconta: il narratore è un dio, Ermes, lo Psicopompo, il trickster, che può quindi infilarsi nei pensieri e i desideri, ma li manifesta e non li sovverte. E rende gradevole perfino la filosofia. Sull’amore, sulla morte, sui sentimenti in genere. L’amore, per esempio,  “è una di quel paio di cose che gli dei non possono sperimentale, l’altra essendo, ovviamente, la morte”, dice il dio narratore. L’amore, l’amore mortale, è un’invenzione degli uomini che gli dei invidiano perché avvicina alla morte. Per gli uomini sarebbe invece un’opera allo specchio, a due specchi, ognuno volendo vedersi idealizzato negli occhi dell’altro.
Questo non è vero, nell’un caso e nell’altro, ma Ermes si fa volere bene lo stesso. Come non è vero dell’empireo greco: l’amore nasce in Grecia, dopo una preistoria di divinità demoniache, in virtù di quell’Olimpo che, senza smettere di perseguitare l’umanità, le permette di cercarsi. E specialmente nell’amore, il segno della trascendenza – in Platone e non solo. Ermes questo lo sa, e quindi fa confusione. Con un curioso lapsus (che la traduttrice evita evitandone la traduzione) a p. 86, di un Liebestod che si trasforma in Gōtterdämmerung, e nell’errato ragionamento dell’Ermes Tuttofare dovrebbe essere invece una Todesliebe, l’amore della morte. Ma è anche vero che il Liebestod, la morte dell’amore, è sicuramente l’innesco del tramonto del divino, ottima filosofia…
Quando la narrazione va tutto va, si può aggiornare il detto. Magris, entusiasta lettore di “Infiniti”, si commuove molto a “una pagina memorabile”, che si chiede dove finisce il fiume e comincia il mare (“un’ossessione che mi è familiare”): Ma la attribuisce a Ermes, mentre è di Adam, uno dei due Adam del libro - come si confa a un fatto-cosa e non a una fantasia, sia pure divina. Nell’occasione Magris dice Ermes “una trovata non necessaria nell’atmosfera del libro”, mentre è vero che, senza, la lettura sarebbe una faticate, a due dimensioni. 
John Banville, Teoria degli infiniti, Guanda, PP 318 € 18

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