Benché in esilio dall’Urss dal 1975,
Zaslavsky fa una rappresentazione senza malanimo, e anzi esilarante, dell’ottusità
e la violenza sovietiche. Sono racconti dello sfollamento da Leningrado assediata,
cinque anni nei quali il bambino dimentica i genitori. Della coppia di
contadini poveri e sciancati che per cinque anni nutrono tre cittadini
sfollati. Di una famiglia alta in grado nella nomenclatura i cui membri,
genitori, zie, zii, da un giorno all’altro perdono tutto, lavoro, casa, prima o
poi avviene, e non sanno perché. Delle insensatezze della vita accademica,
privilegiata e sempre a rischio. Di una sorprendente umanità nell’Unione
Sovietica, c’era pure quella.
Victor Zaslavsky, Il mio compagno di banco Ramón Mercader, Sellerio, pp. 171 € 12
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