È sempre la Napoli dal 1585, della rivolta popolare e della
conseguente uccisione dell’Eletto del popolo Giovanni Vincenzo Starace, fino al
1647 – la breve repubblica di Masaniello. “Il dominio spagnolo non incontrò in Italia soltanto passività,
inerzia, provincialismo e ribellismo primitivo. Il sogno di libertà è storia:
un movimento composito e multiforme, che coinvolse popolazioni e singole
personalità, uomini e donne, si collegò idealmente con le correnti di riforma
dei centri più importanti dell’Europa moderna”, dei Paesi Bassi, della Catalogna,
del Portogallo, “e della stessa Spagna, e culminò nella rivoluzione del 1647”. Sorprendente ma prevista, il culmine di lunghe e costanti
tensioni.
Tra i tanti personaggi che
animano questo vigoroso affresco, la menzione di uno dei minori è indicativa
della “qualità della vita” a Napoli nel primo Seicento. L’economista Antonio
Serra, nato a Celico, alla falde cosentine della Sila, nel 1550 circa, la cui
memoria si conserva solo nell’elogio che ne fa Galiani, correttamente
individuava la debolezza del Regno nel deflusso dei capitali a favore di
affaristi forestieri. Non poteva dire che il re e i viceré si vendevano il
Regno perché era in prigione, per aver partecipato alla famosa insurrezione
antispagnola della Calabria di cui non si trova traccia, che veniva addebitata
(principalmente) a Campanella. In carcere dal 1613, vi scrisse un “Breve
trattato delle cause che possono far abbondare i regni d’oro e d’argento dove
non sono miniere” – che dedicava al viceré, Pedro Fernandez de Castro y
Andrade, conte di Lemos, in offa per la clemenza. Serra “inventava” la bilancia
dei pagamenti, aggiungendo alle importazione ed esportazioni di beni materiali,
nel calcolo del benessere del Regno, anche i servizi e i movimenti di
capitale.
Rosario Villari, Un sogno di libertà, Mondadori, pp. 715 € 24
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