Amore – Non se ne parla perché non c’è più materia? Impigliati in un découpage diverso, quello americano, che stordisce l’Europa col suo tran-tran tradizionale - tanto più per essere totalitario. Dell’amore legato al sesso, della famiglia avulsa e frammentata, del partneriato invece del matrimonio, della procreazione a sé stante, dall’amore e anche dal sesso, della libertà di scelta come incostanza – salvo riprendere ogni tre anni lo stesso mobilio e lo stesso partner.
Nell’amore
come in ogni altra passione consolidata,
la politica, la rettitudine, il lavoro ben fatto, è come se l’abbattimento del
Muro avesse lasciato l’Europa nuda e disponibile.
Antipolitica – S’intende
l’insoddisfazione verso la politica, la disaffezione, e perfino la lotta
contro. Ma in questa chiave è una forma della politica. Questo è in Italia
evidente nei movimenti più antipolitici, quello di Di Pietro, del comico
Grillo, e della giustizia politica – il “partito” dei giudici. È invece, propriamente,
un aspetto della più generale concezione della politica come guerra civile, di
tutti contro tutti. Che fu delle ideologie escatologiche e permane sotto forma
di invidia sociale.
Borghesia – Si distingue
per l’autocritica: la borghesia è essenzialmente la critica di se stessa – come
ceto sociale, aspirazioni, intenti. Per l’autocritica cioè come maniera d’essere,
mai antitetica e spesso connivente.
In
astratto si può concepire una critica alternativa, eversiva. Ma così non è nei
fenomeni sociali, e per questo ogni rivoluzione antiborghese - comunista oppure
fascista - ha fallito. Prima che per il munizionamento borghese, per la sottile
insidia che l’autocritica introduce nell’eversione. È una chioccia,
inattaccabile.
Deserto – È il luogo
delle tre religioni del Dio unico, ebraismo, cristianesimo, islam. Un vuoto da
riempire. Di paura.
O
allora riempito dal Dio tuttofare. Si penserebbe questo vuoto pieno di
annullamento, sacrificio, contemplazione. E invece ha generato ammasso, compiacimento,
ricchezza – la ricchezza come segno della grazia divina. Di avidità acquisitiva
– competitiva, imperialista.
Invidia – Vizio sempre
capitale, seppure trascurato – non filosofico? Sotto forma di gelosia tra gli
amanti, è diffuso e crescente nelle forme sociali. Il malessere per la fortuna
degli altri. Alimentato da una concezione della politica come guerra civile, di
tutti contro tutti.
Si
viveva al Sud, e si vive, nel dispetto del mondo. Degli altri come della natura
(malattia, alluvioni, terremoti, siccità). Nella negazione, o mascheramento,
della propria fortuna, qualora dovesse accadere, nello scongiuro costante su
ogni evento o moment o di felicità, che come si sa è incostante e presto
finirà. Lo scrittore calabrese Domenico Zappone ne dà una vivida
rappresentazione in un racconto etnografico sulla festa della Madonna a
Roghudi, un borgo della Calabria grecanica, alla fine degli anni 1950 (ora nella
raccolta “Il pane della Sibilla”, a cura di Santino Salerno): “Sì. Bisogna
guardarsi da tutto e far le cose di nascosto, non destare nel prossimo gelosie,
invidie, rancori, eccetera…. Perché, anche se la gente non lo sa, a volte può
nuocere. Nuoce e non lo sa. Spesso anche i parenti nuocciono”. Perché “il diavolo
si nasconde a ogni angolo”.
È
la paura degli antichi , l’“invidia degli dei”. Di cui evidentemente nel Sud greco,
seppure non più ellenofono, la persistenza è forte: è invidioso (cattivo) il prossimo, di
più ancora il mondo. La morte, la malattia, la disgrazia, il disastro naturale,
la guerra, il fuoco, l’acqua, la natura sta in agguato: con la natura è una
lotta insidiosa e senza tregua.
Pensiero – Traborda e
subito finisce – si perde, si chiude. È sempre la minima parte di ciò che è.
Benché
abbia imperi sterminati aperti all’occupazione. È limitato per costituzione o
per imperizia? È la stessa cosa. Fuori della perfezione c’è imperizia.
Religione – Lo scrittore Domenico Zappone monta ne
“Il pane della Sibilla” un
forsennato – poco filologico, e lui lo sa – popolamento di eroi e divinità che pellegrini
e devoti farebbero dell’Aspromonte, la “Montagna”. È segno di animismo
perdurante, ed è confuso, manifestazione di un ritardo (confusione) culturale.
Ma è vero anche al contrario: pur essendo filologicamente zero, anzi negativo,
il popolamento riflette un perdurante animismo. Anche nei laici professi.
Nella stessa raccolta di Zappone, l’ultima sezione, “Fede, mito e costume”, attesta con alcuni racconti-testimonianze la
fede come identificazione (immedesimazione in un altro) e liberazione. E lo scongiuro come attivo occultamento, dell’uomo
in guerra con una sorte sempre maligna.
Secolarizzazione – Paganesimo senza
dei. E con l’angoscia.
Vocabolario – È la prova che
l’uomo è altro, nel mondo. E in via di sviluppo (scrittura). Il vocabolario del
Rigutini-Fanfani è irrimediabilmente invecchiato rispetto al Devoto-Oli. E il
Devoto-Oli è invecchiato all’improvviso in questi ultimi vent’anni, di
globalizzazione linguistica e informatizzazione.
Ma in che rapporto si pone l’evoluzione
del linguaggio con l’evoluzione dell’essere – del mondo? Di poca, se non nulla incidenza. Niente di questa epoca informatica
può essere capito e spiegato con gli strumenti critici consolidati. Si può dire
il linguaggio una prova e anzi un balbettio, sommesso e sostituibile, che
innova per scostamenti lievi – più di tutto è radicato, nella lallazione.
Il poeta Michaux vi trova “scintille del
mondo, di fuori e di dentro”, e “la moltitudine di essere uomo, la vita dalle infinite impressioni e voler essere”. Ma
di latenze, “l’infinito borbottio dei possibili”.
zeulig@antiit.eu
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