domenica 14 ottobre 2012

Secondi pensieri - 119

zeulig

Amore – Non se ne parla perché non c’è più materia? Impigliati in un découpage diverso, quello americano, che stordisce l’Europa col suo tran-tran tradizionale - tanto più per essere totalitario. Dell’amore legato al sesso, della famiglia avulsa e frammentata, del partneriato invece del matrimonio, della procreazione a sé stante, dall’amore e anche dal sesso, della libertà di scelta come incostanza – salvo riprendere ogni tre anni lo stesso mobilio e lo stesso partner.
Nell’amore come in ogni altra passione consolidata, la politica, la rettitudine, il lavoro ben fatto, è come se l’abbattimento del Muro avesse lasciato l’Europa nuda e disponibile.

Antipolitica – S’intende l’insoddisfazione verso la politica, la disaffezione, e perfino la lotta contro. Ma in questa chiave è una forma della politica. Questo è in Italia evidente nei movimenti più antipolitici, quello di Di Pietro, del comico Grillo, e della giustizia politica – il “partito” dei giudici. È invece, propriamente, un aspetto della più generale concezione della politica come guerra civile, di tutti contro tutti. Che fu delle ideologie escatologiche e permane sotto forma di invidia sociale.

Borghesia – Si distingue per l’autocritica: la borghesia è essenzialmente la critica di se stessa – come ceto sociale, aspirazioni, intenti. Per l’autocritica cioè come maniera d’essere, mai antitetica e spesso connivente.
In astratto si può concepire una critica alternativa, eversiva. Ma così non è nei fenomeni sociali, e per questo ogni rivoluzione antiborghese - comunista oppure fascista - ha fallito. Prima che per il munizionamento borghese, per la sottile insidia che l’autocritica introduce nell’eversione. È una chioccia, inattaccabile.

Deserto – È il luogo delle tre religioni del Dio unico, ebraismo, cristianesimo, islam. Un vuoto da riempire. Di paura.
O allora riempito dal Dio tuttofare. Si penserebbe questo vuoto pieno di annullamento, sacrificio, contemplazione. E invece ha generato ammasso, compiacimento, ricchezza – la ricchezza come segno della grazia divina. Di avidità acquisitiva – competitiva, imperialista.

Invidia – Vizio sempre capitale, seppure trascurato – non filosofico? Sotto forma di gelosia tra gli amanti, è diffuso e crescente nelle forme sociali. Il malessere per la fortuna degli altri. Alimentato da una concezione della politica come guerra civile, di tutti contro tutti.

Si viveva al Sud, e si vive, nel dispetto del mondo. Degli altri come della natura (malattia, alluvioni, terremoti, siccità). Nella negazione, o mascheramento, della propria fortuna, qualora dovesse accadere, nello scongiuro costante su ogni evento o moment o di felicità, che come si sa è incostante e presto finirà. Lo scrittore calabrese Domenico Zappone ne dà una vivida rappresentazione in un racconto etnografico sulla festa della Madonna a Roghudi, un borgo della Calabria grecanica, alla fine degli anni 1950 (ora nella raccolta “Il pane della Sibilla”, a cura di Santino Salerno): “Sì. Bisogna guardarsi da tutto e far le cose di nascosto, non destare nel prossimo gelosie, invidie, rancori, eccetera…. Perché, anche se la gente non lo sa, a volte può nuocere. Nuoce e non lo sa. Spesso anche i parenti nuocciono”. Perché “il diavolo si nasconde a ogni angolo”.
È la paura degli antichi , l’invidia degli dei. Di cui evidentemente nel Sud greco, seppure non più ellenofono, la persistenza è forte: è invidioso (cattivo) il prossimo, di più ancora il mondo. La morte, la malattia, la disgrazia, il disastro naturale, la guerra, il fuoco, l’acqua, la natura sta in agguato: con la natura è una lotta insidiosa e senza tregua.

Pensiero – Traborda e subito finisce – si perde, si chiude. È sempre la minima parte di ciò che è.
Benché abbia imperi sterminati aperti all’occupazione. È limitato per costituzione o per imperizia? È la stessa cosa. Fuori della perfezione c’è imperizia.

Religione – Lo scrittore Domenico Zappone monta ne “Il pane della Sibilla” un forsennato – poco filologico, e lui lo sa – popolamento di eroi e divinità che pellegrini e devoti farebbero dell’Aspromonte, la “Montagna”. È segno di animismo perdurante, ed è confuso, manifestazione di un ritardo (confusione) culturale. Ma è vero anche al contrario: pur essendo filologicamente zero, anzi negativo, il popolamento riflette un perdurante animismo. Anche nei laici professi.
Nella stessa raccolta di Zappone, l’ultima sezione, “Fede, mito e costume”, attesta con alcuni racconti-testimonianze la fede come identificazione (immedesimazione in un altro) e liberazione.  E lo scongiuro come attivo occultamento, dell’uomo in guerra con una sorte sempre maligna.

Secolarizzazione – Paganesimo senza dei. E con l’angoscia.

Vocabolario – È la prova che l’uomo è altro, nel mondo. E in via di sviluppo (scrittura). Il vocabolario del Rigutini-Fanfani è irrimediabilmente invecchiato rispetto al Devoto-Oli. E il Devoto-Oli è invecchiato all’improvviso in questi ultimi vent’anni, di globalizzazione linguistica e informatizzazione.
Ma in che rapporto si pone l’evoluzione del linguaggio con l’evoluzione dell’essere – del mondo? Di poca, se non  nulla incidenza. Niente di questa epoca informatica può essere capito e spiegato con gli strumenti critici consolidati. Si può dire il linguaggio una prova e anzi un balbettio, sommesso e sostituibile, che innova per scostamenti lievi – più di tutto è radicato, nella lallazione.
Il poeta Michaux vi trova “scintille del mondo, di fuori e di dentro”, e “la moltitudine di essere uomo, la vita dalle infinite impressioni e voler essere”. Ma di latenze, “l’infinito borbottio dei possibili”.

zeulig@antiit.eu



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