lunedì 22 ottobre 2012

Secondi pensieri - 120

zeulig

Amore –Come possesso non è una novità, del marito o amante respinto, dei genitori sui figli. Come innesco della condizione umana sì. Nelle forme dell’egoismo, ancorché confuse, che sarebbe propriamente il disamore.

L’amore “è una di quel paio di cose gli dei non possono sperimentare, l’altra essendo, ovviamente, la morte”, dice il dio Ermes narratore della “Teoria degli infiniti”, il romanzo di John Banville. L’amore, l’amore mortale, è un’invenzione degli uomini che gli dei invidiano, sempre secondo Ermes, perché avvicina alla morte. Per gli uomini è invece un’opera allo specchio, a due specchi, ognuno volendo vedersi idealizzato negli occhi dell’altro. Cioè un’ambizione (illusione) di immortalità?

È scomparso, e si vede: è scomparso il discorso dell’amore. Per qualcuno è ancora un atto, come prendere il tram,se insorge un po’ di fregola – der Akt.

Campanella - Campanella, tra una tortura e l’altra, annota perplessa Yourcenar, badava a sbafare, e a “dormire insieme e godere” con frate Pietro. Agli aguzzini confidando: “Che si pensavano che io ero coglione che voleva parlare?” Il “mago” ha resistito così, a 27 anni coi topi in carcere, con l’irrisione. Per questo non la sola Yourcenar ha ammaliato, a sua insaputa, malata di classicità. Ma era uno spirito scientifico, uno che tifava per Galileo. E si ribellava, come tutti ai suoi anni, contro il mondo.
Sempre i frati si sono ribellati contro il mondo. In nome di che? Della tradizione, il mito, la tebaide, l’orgoglio? Del nulla, magra scelta. Una buona metà del disprezzato mondo avendo irretito nell’imperialismo pagano, il blocco armato contro il pericolo “eurocristiano”. Ci si svuota per riempirsi di niente,  ma essendo stati pieni di che cosa?

Diritto - È la legge, non la giustizia. La quale può prescindere dal diritto. Ma si può pensare il diritto contrario alla giustizia? Sì, per esempio alle origini del diritto stesso, a Roma. Roma è il primo caso e il paradigma della “giustizia politica”: la legge piegata al diritto, come maschera della forza. Anche quando protegge i diritti.

Evola - “Prendere sempre, per principio, la linea di maggior resistenza” è precetto prioritario del suo yoga della potenza: “Non fare ciò che ti piace, fa’ ciò che ti costa”. Etica santa, o della rinuncia. Ma dov’è la massima resistenza, o eroismo? Questo è pentirsi o piangersi addosso, di uno che dicesse: “Scusatemi, ho messo le bombe”. A disagio tra le caste inferiori dei vaisha-mercanti e dei sutra-operai - a disagio nel mondo.
Indianista, avevano ragione gli sbirri di Mussolini: il viaggio in India è contagioso. Maestro tuttavia dei tempi, se “la violenza è l’unica soluzione possibile e ragionevole”. Ammirabilmente pensò e scrisse da solo quanto il Collège de Sociologie, Bataille, Caillois, e anche Dumézil, e mezza Ger-mania, in testa Jünger, Gottfried Benn e il confuso Heidegger sono andati almanaccando: una società di anime nobili, integre, spietate, che salvi l’umanità dalla glaciazione, o desertificazione, che il denaro e la ofidica tecnica minacciano, e dalla decimazione ugualitaria. Con quella contrapposizione geniale tra “mondo della storia” e “mondo della tradizione”, o tra azione nella storia e azione metastorica, che distingue, questa sì, l’uomo superiore. Ma pensiero antimoderno e antiliberale, antipopolare. Radicale, viscerale, logico, e quindi disumano.
Esoterista mirabile, avendo scoperto la forza demoniaca, “magia nera”, della pubblicità e della propaganda. Con Plotino e lo yoga consigliando: “Non andare verso Dio con impazienza, ma attenderlo”. Ma il precetto ha dimenticato di dare ai suoi allievi, per essere slittato dai poteri intellettuali e mistici alle bombe.

Fisica – Ordinare il caos, il compito che si è dato a partire dalla relatività generale, sembra fatica insensata. Ma è il compito che si è sempre dato, con più di un successo, seppure con più fiducia nel predominio dell’uomo nell’universo. 

Linguaggio – Simone Weil lo dice una prigione (“La persona e il sacro”, 39 sgg.). Limita le relazioni possibili: “Il linguaggio enuncia relazioni. Tuttavia ne enuncia poche giacché si svolge nel tempo”. E può inibire “pensieri che implicano la combinazione di un numero maggiore di relazioni”. Un’affermazione che è anche la negazione di ciò che afferma – il linguaggio è un elastico.
Il potere della parola la filosa dice “illusorio ed erroneo”. Ma è potere assoluto. L’unico anche “positivo”, che ammette libertà.

Nobel – Non c’è per la filosofia, ma quello per l’economia è da qualche anno sempre più filosofico. Quello di quest’anno, a Roth e Shapley, va a due teorici dei giochi. Sui quali peraltro hanno costruito modelli: quanto di più scientista e meno filosofico, seppure con procedimenti stocastici.

Lloyd Shapley cinquant’anni fa si rese famoso per il teorema del “matrimonio stabile”, codificato in algoritmo. L’algoritmo “risolveva” il matrimonio come libera scelta: tanto più libera e ponderata tanto più stabile. Stabilizzava cioè un errore concettuale, tanto più marchiano per un esperto della teoria dei giochi. Ed era costituito da una serie di “circoli”, o iterazioni, ognuna a plurima scelta. Cioè sul sofisma.
Roth è premiato per aver stabilizzato (“ingegnerizzato”) l’algoritmo matrimoniale a tutti i matching markets, nel lavoro oltre che nella coppia, nella carriera e in Borsa. Un cappello metodologico alla pretesa “la persona giusta al posto giusto”, di cui si fa paravento il liberismo, un’ideologia.

Realismo – Non due cose uguali, neppure con se stesse: il paradosso del tempo, il mutamento costante, esclude il realismo, che presuppone un mondo unico, unitario e ordinabile: seppure ci sono delle cose a sé stanti, non saranno mai le stesse – stabilmente rintracciabili (definibili).
Il realismo è però filosofia e non fisica. È immaginazione e\o astrazione: il filosofo si fa il suo mondo. Un mondo-in-sé kantiano che però possiamo conoscere e descrivere. E allora tutto è stato detto, da ultimo nel 2000 dall’epistemologo Marsonet in “I limiti del realismo” (ora disponibile solo in inglese).
La frontiera tra “fattuale e concettuale non è netta né pulita”, spiega Marsonet da ultimo nel saggio-sintesi “Realism and its limits”, che il sito di Rina Brundu pubblica
Questo è un fatto. E lo si è sempre saputo, a partire da Dewey, con William James e ogni altro epistemologo, Sherlock Holmes compreso: 1) “l’analitico e il sintetico non si separano con nettezza” (l’induzione, la deduzione e l’abduzione confuse della semiologia), 2) la nostra ontologia è necessariamente concettuale, “la concettualizzazione non è un optional”, come direbbe Ferraris. “L’immaginario” di André Breton, teorico del surrealismo, “è ciò che tende a divenire reale”, e il rovescio è pure vero.

Maurizio Ferraris, che ha lanciato il “Manifesto del nuovo realismo”, non sembra prendersi sul serio – è un filosofo divertente e divertito. E più che altro vuole dire: ci siamo stufati del pensiero debole, indeterminato.
Per quanto, bisogna intendersi: Ferraris non vuole il vecchio realismo delle cose e della natura, in questo mondo il virtuale predomina, il dichiaratamente irreale: lui vuole appropriarsi delle “nuove realtà” – ha già in cascina un discreto catalogo, del telefonino, di babbo natale, e dello stesso Kant iperreale.

È anche vero che con il tempo disordinato la fisica non esce dal caos (ora si applica a ordinare il caos, ma ciò è insensato).

Nessun commento:

Posta un commento