lunedì 5 novembre 2012

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (150)

Giuseppe Leuzzi

Plutarco, a proposito del “demone di Socrate” e del “Dio indolente”, spiegava così lo stallo che poi s’è prodotto fra i carabinieri e i mafiosi: “Per i malvagi l’incoraggiamento maggiore è questo: l’ingiustizia produce un frutto presto maturo e facile da cogliere, mentre il castigo sopraggiunge tardi, molto dopo che se ne sia goduto”. Senza un motivo, ma così è: la giustizia arriva sempre tardi.

“Intervallo”, giornaletto “periodico del Liceo Galileo”, risulta diretto e animato nel 1957 da nomi meridionali, Chidichimo, Filastò, Impallomeni (Fausta Garavini curava la “pagina umoristica”). Oggi non sarebbe possibile. Anche se probabilmente i prefetti, i giudici, i medici e i presidi meridionali con figli non difetteranno a Firenze. Fallaci e Terzani stessi, che quarantacinque anni fa convivevano con Chidichimo e le Filastò, se ne meraviglierebbero. Né ai Vigoriti e ai Pasanisi sarebbe venuto in mente di pensarsi diversi. La storia va avanti e indietro. È un passo avanti o indietro?

Crocetta dopo Vendola fa due presidenti di Regione al Sud omosessuali dichiarati. Alla faccia dello stereotipo. Quanto basta per propiziare l’articolessa d’obbligo dei grandi giornali sulla rivoluzione del Sud. Rispetto a Germi, a Brancati eccetera. Quanto basta cioè a condensare un altro luogo comune, dopo il Sud brancatiano, la donna schiava eccetera (le donne del Sud schiave…). Il “Sud” non può – non deve? – essere altro che lo stereotipo che gli crea addosso il Nord.
Crocetta che, come Vendola, è l’esito occasionale di una sinistra in confusione. In un generale disincanto della politica.

A quando l’articolessa sul Sud frocio, con le colonie di Capri e Taormina già in pieno vittorianesimo?

Fulminante l’addetta alla comunicazione di Crocetta, la bergamasca Michela Stancheris, socialista: “Qui non ci sono le architetture mentali del Nord, dove le differenze diventano un ostacolo. Se sei un immigrato generi curiosità e non diffidenza”.

“Brancatiano”: un grande scrittore è impiccato, da Sciascia incluso, al suo personaggio più riuscito. Con Catania, città industriosa, e la Sicilia. Il gattopardo, il bell’Antonio, i malavoglia: non si può essere buoni scrittori e riuscire un personaggio, che si viene subito etichettati. Non si può esserlo al Sud. Etichettati in senso spregiativo.

Grande fu la meraviglia di Bixio a Bronte, al numero delle armi che i borghesi assaliti e uccisi nei moti contadini avevano in casa e non usarono per difendersi. Contro gente armata solo delle mani. È la borghesia del Sud, avida magari e leguleia, ma inetta.

Il discorso di Mattei a Tunisi nel 1960: “La geografia della fame è una leggenda: è legata solo alla passività, all’inerzia creata dal colonialismo nelle popolazioni autoctone. Faceva comodo al colonialismo incoraggiare la fatalità, la rassegnazione”. Cambiando poche parole, mafia per fatalità, posto per fame,  il discorso si attaglia al Sud. Anche dopo cinquant’anni. Mentre il terzomondismo altrove è morto da tempo.

Il collegamento generale invece, nel discorso di Mattei, è diretto: “Ho dovuto fare anch’io della decolonizzazione perché molti settori dell’economia italiana erano colonizzati, anzi direi che la stessa Italia meridionale era stata colonizzata dal nord d’Italia!”.
Ma è sbagliato (un lapsus?) il giudizio: “Il fatto coloniale non è solo politico: è anche, e soprattutto, economico”.  È vero il contrario.

Il problema meridionale non è economico
“Pare dubbio che il problema meridionale possa risolversi tutto in termini di economia; parrebbe piuttosto il problema di una vita morale e sociale che possa determinare un’economia, un modo d’essere”. Corrado Alvaro l’ha scritto più volte, ma nel ricordo di Rocco Scotellaro, sul libro postumo “I contadini del Sud” (ora in “Scritti dispersi, sotto il titolo “Biografie meridionali”), con precisione: “Dalla conquista unitaria in poi, la vita meridionale è tutta nell’illusione del divenire, e di un divenire improvvisamente miracoloso poiché l’opera di costruzione morale ed economica di una società non fu intrapresa in tempo, perché uno dei primi atti dell’unità italiana fu di negare ogni difesa agl’interessi dell’Italia meridionale artigiana e agricola nella competizione degli interessi nazionali. La crisi tardò a venire, frenata dalla possibilità di emigrare; l’emigrazione trovava altrove il suo terreno sociale di lotta e di conquista, e la possibilità di esprimere una classe di gente media, e la possibilità di vita per una classe media nel lavoro, nel rischio personale, quale la regione non offriva. Ed è il cemento che manca alla società meridionale, una classe media che trovi il campo della sua azione fuori dalla speranza degl’impieghi e dalla burocrazia”. Ciò che con la Repubblica impediscono le mafie, si può aggiungere.
Dalla “conquista”, dunque. “Uno dei primi atti dell’unità” ostile. Una “costruzione morale ed economica” ancora da fare. Se ci fosse una Lega del Sud avrebbe una “miniera” a cui applicarsi, un vuoto enorme da riempire.

Alipórfuros
L’omerico “alipórfuros”, che Rocci traduce “violetto, del cupo colore del mare agitato”, è in realtà “purpureo come il mare”. Un po’ come vinaccioso (mostoso, ribollente) come il mare, anch’esso omerico, che Sciascia ha rovesciato in “mare colore del vino”. Per il mare Jonio, che invece è chiaro.
Il mare ha peraltro varie colorazioni. C’è pure un mar Rosso. Camus celebra (“Taccuini 1942-1951”, p. 23) un mare di “acqua del mattino così nera”. Del mare che guarda a Occidente. Ma nelle parole composte, del greco come del tedesco, la funzione aggettivale è del primo nome: Weinrot, dice il tedesco, per rosso vino – Ernst Jünger dice di Weinrot che ha una dozzina di sfumature diverse, quanti sono i vini (“Diari”, p.507).

Autobio
Adesso che non ho nulla sto bene. Come dice Rivarol (“Rivarol, massime di un conservatore”, di Ernst Jünger, 82): “L’insignificanza protegge più della legge e rassicura più dell’innocenza”. Con i beni avendo perso la stima e la rispettabilità.
Il notabilato è figura ambigua. La considerazione in realtà accompagna il denaro e il potere. Non c’è altra fonte sociale – popolare, comunitaria – di rispettabilità. L’applicazione, gli studi, l’arte sono, al meglio, delle eccentricità.

Una precedente massima (p.67) di Rivarol può spiegare l’inconsistenza rispetto alle insorgenze mafiose: “Una sicurezza protetta, una costante inviolabilità dei propri beni e della propria persona, ecco la vera libertà sociale”.

Il paese è composto da due paesi distinti. Da tempo uniti fisicamente, oltre che amministrativamente, da un secolo e mezzo. Ma sempre diversi, e perfino estranei, nelle frequentazioni per esempio, c’è gente di un quartiere che non è mai stata nell’altro quartiere, o ne conosce al più la strada principale che li attraversa – la strada statale Bovalino-Bagnara. E più nelle psicologie sociali, diversamente caratterizzate e fra di loro conflittuali, l’una pastorale e ribellistica (incostante, umorale, violenta anche), l’altra urbana, riflessiva, equilibrata. Con esiti diversi nelle attività produttive (artigianali, professionali, commerciali), e nell’amministrazione pubblica. Si individuano l’uno o l’altro dei quartieri dalla parlata, dal diverso assetto sintattico e grammaticale benché nello stesso dialetto. E già  dallo sguardo, dalla maniera di porsi.
Entrambi i due paesi sono di origine grecanica. Entrambi rifugi montani, quasi un nascondiglio, nelle pieghe della montagna. Ma uno subcolonia di marina, l’altro subcolonia di subcolonia di montagna. Oppure: uno di origine jonica, subcolonia di subcolonia locrese, l’altro tirrenica. Le persistenze ono dominanti nelle psicologie sociali.

C’è chi non esce di casa di proposito, per non incontrare nessuno. Non  sarebbe un fatto eccezionale, e anzi comune, che nei paesi si nota. Ma saperlo è raccapricciante. Sono persone che se per caso s’incontrano sono normali, comuni, anche sorridenti.
Pasquale C., e sua cugina M., due vecchi amici, lei madre e nonna, già professoressa di lettere, lui ex sportivo, ex politico, quindi socievole, per le spese obbligate quotidiane, il giornale, il latte, vanno in un altro paese.

Abbiamo il record di longevità. Dovremmo averlo e non lo abbiamo. Le aree con la massima longevità, l’Ogliastra in Sardegna e l’isola greca di Ikaria, traggono beneficio da un’orografia erta, che costringe a salire e scendere all’uscita da casa. Con beneficio dell’ossigenazione, per l’eliminazione delle tossine. Noi non siamo longevi perché andiamo in macchina. Anche per il caffè al bar, una pausa nella giornata. 


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