Marchionne non è una vedette negli Usa. È anzi uno sconosciuto. Ma è, appunto, l’ad di
Fiat. Verso cui la Chrysler sente l’immenso debito di avere evitato il
fallimento ed essere anzi diventata in pochi mesi un’azienda in utile e con un
ottimo futuro. Non gli azionisti, che quasi non ci sono più, ma i lavoratori:
dai licenziamenti ai bonus di produzione c’è una differenza.
Chrysler ha la sede a Detroit ma fabbrica le Jeep nell’Ohio,
per i vantaggi sul cuneo fiscale. Cioè nello Stato chiave che da qualche tempo
decide le elezioni, essendo non repubblicano né democratico, ma decidendo per l’uno
o l’altro partito ogni volta per pochi voti. Il voto d’opinione, che i politologi
calcolano nel 5 per cento del voto globale.
Lunedì, alla vigilia delle elezioni, il governatore repubblicano
dell’Ohio John Kasich si è complimentato per l’aumento della produzione Jeep,
in polemica col suo candidato Mitt Romney, che parlava di imminente delocalizzazione
in Asia. Mentre Marchionne diffondeva un video con queste cifre: “Abbiamo
incrementato la domanda delle nostre auto, specialmente delle Jeep, e abbiamo
aumentato l’occupazione di 11.200 posti di lavoro dal 2009”. Ne bastavano meno,
alcune centinaia, per spostare l’Ohio verso Obama.
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