Non è la prima, le storie di adolescenze
introverse abbondano, di Cocteau e Salinger, ora di B.Bertolucci, Ammanniti.
Del lato oscuro dell’adolescenza – “le ferite dell’adolescenza” - che poi si
trasforma in modo di essere, più o meno accattivante. Ma qui subito, dopo i
primi due capitoli, una vicenda diagnostica, impersonale. Attraverso storie mal
ricucite, affrettatamente. Finendo per mostrarsi per quello che è: un prodotto editoriale.
La cosa è inevitabile e anche buona. I
migliori scrittori ci sono passati, là dove queste cose si dicono, facendo
parte della pratica letteraria, da Joyce e Chatwin, con ricuciture anche
radicali. Ma in questa letteratura del Millennio, la cura editoriale dà l’impressione
di essere prevalente, la confezione del buon prodotto. Ottimo anzi nel caso di
Mondadori dopo Dan Brown e l’indimenticabile “Da Vinci”, da “Gomorra” in poi. Giordano
“scrive bene”, uniforme cioè – con qualche smagliatura che il redattore
diabolicchio lascia lì a futura memoria. E dissolve anche la tristezza, la
compassione per le due sventure.
Resta una compilazione minore alla
Krafft-Ebing, capitolo dopo capitolo, un disgraziere. Generazionale? Sì, nel
senso delle classi d’età non dell’epoca. Non bisognerebbe rileggere i
best-seller, anche i premiati: l’artificio s’impone prepotente.
Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi
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