I lettori di anti.it sanno quanto
i due siano uguali e concorrenti:
Sono su fronti avversi in
politica, ma sempre per spirito di concorrenza più che per fede. De Benedetti a
sinistra con ottiche di destra, Berlusconi a destra ma da sinistra.
De Benedetti ha sempre cercato l’establishment: Fiat, Ambrosiano, Société
Générale, Olivetti, L’Espresso-Repubblica. Dovunque rifiutato eccetto che nel
gruppo giornalistico, grazie ai soldi che aveva prestato nel 1978 a Caracciolo
e Scalfari per l’aumento di capitale di “Repubblica”. Ma questo non vuol dire:
la sua ambizione era ed è mettersi coi soldi che contano. Lo stesso per le sue frequentazioni: va ai dibattiti con Landini, il segretario della Fiom, che però disprezza. E ha sempre
licenziato. All’Espresso-Repubblica ha dimezzato i giornalisti in organico,
l’Olivetti portò al fallimento.
Berlusconi è difficile dirlo di sinistra.
Con le dodici ville da venti, o trenta, milioni, e le scorte di ragazze con
quelle facce, ma è sempre stato coi piccoli imprenditori, li ha portati al
grande mercato della pubblicità, ha moltiplicato di dieci volte il mercato
stesso della pubblicità con la discesa in campo mediatica, tra il 1980 e
il 1990, e non ha mai licenziato
nessuno. Nemmeno nel salvataggio di società fallite, Italia 1, Rete 4, Einaudi. L’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, non è mai stato gravato da
stati di crisi da parte di Mondadori e Mediaset. Mentre lo è periodicamente da
parte di De Benedetti, per “L’Espresso”, “la Repubblica”, Finegil – come lo è
da parte degli altri editori, Rizzoli-Corriere della sera e Riffeser.
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