Doyle e Stoker
indagano il caso di quattro fanciulle femministe, quindi nemiche di Doyle ma
vittime di un antifemminista spietato. Quatto ragazze belle e bombarole, un po’
saffiste un po’ sognatrici dell’abito bianco da sposa, che resuscitano
Morrigan, “la dea irlandese della guerra e delle profezie”, unendosi nel segno
del corvo a tre teste, uno dei suoi simboli. Cale come Green si vuole spiato
prima della morte, e come lui subisce una morte violenta che indirizza i
sospetti sull’erede-nemico – come già nel racconto di Sherlock Holmes, qui
saccheggiato, “L’enigma di Thor Bridge”.
Una chicca per
sherlockholmesiani. Erudita, quasi esoterica. Ma anche per i non iniziati. La
soluzione c’è, che di tutte le convenzioni del giallo Moore dice l’unica
irrinunciabile – “la giustizia è facoltativa, la soluzione obbligatoria”. Con
una filologia che non disturba. C’è Londra fine Ottocento in dettaglio. Con i trucchi
di scrittura di C. Doyle in bella vista. E c’è, rappresentato, spiegato, il
vero humus di Doyle-Holmes, che non è
lo scientismo ma il ballo Excelsior. Con la fiducia, “il romanticismo del mondo
razionale”. A ragione veduta. Doyle viene sospinto verso il lato Stoker,
dell’irrazionale invincibile nella partita col razionale, con “la luce pura e
brillante della logica” e “il fulgido futuro della scienza”. Che però subito
metabolizza e razionalizza. La luce elettrica irrompe abbagliante, e la regina
Vittoria non può durare a lungo: “Nel luminoso ventesimo secolo la ragione
avrebbe dominato il mondo”, dice Doyle-Holmes. Non è avvenuto, ma fu un Fine
Secolo sicuramente più determinato, anche coraggioso, della Fine Millennio,
malgrado internet e ora l’iphone.
Graham Moore, L’uomo che odiava Sherlock Holmes,
Rizzoli, pp. 363 € 8,80
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