giovedì 8 novembre 2012

Il presidente delle minoranze

Un presidente che poteva essere bianco come nero e ha scelto di essere nero. Per una forma di compensazione nei confronti del padre che lo ha abbandonato? È possibile. Di sicuro per una scelta, consapevole: la scelta è legata alla decisione di fare il politico. Ha sposato una donna nera. Frequenta solo i parenti neri di lei. Ha scelto una constituency dove i neri contavano. E si è confermato in una periclitante rielezione grazie al voto etnico ancora compatto, di neri, ebrei e portoricani.
“Un presidente da reality” lo dicevano i Kennedy. Ma senza molestarlo, e anzi favorendolo, perché è un presidente che punta sulle minoranze. Non come programma politico, da presidente deve lavorare per l’America che conta, ma elettorale sì. E di opinione. È così che ha il voto ebraico benché sia distintamente non filo-israeliano.
La nuova dialettica politica non modifica il tradizionale diorama mondiale visto da Washington, ma il modo di guardalo sì: l’America è per la prima volta da un secolo introversa e quasi provinciale. Ha fatto e fa molte guerre nel mondo, ma senza occuparsene e quasi senza saperlo. 

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