Best-seller – Venerdì 2 “La
Stampa” intervista, tra il serio e il faceto, un personaggio di Asti, il
professor Carlo Faletti, primario ospedaliero e presidente della biblioteca
Astense, sulla fusione provinciale Asti-Alessandria. Il professore si presta al
gioco: “Io mandrogno?” dice dell’epiteto che insegue gli abitanti di
Alessandria, “Mai!”. Ma il giornale sbaglia foto e didascalia, mettendoci
Giorgio Faletti, “autore di bestseller, attore comico, cantautore”. Il giorno
dopo si scusa, e per rimediare intervista Faletti scrittore. Che è anche lui di
Asti ma non si vergogna di diventare “mandrogno”. Quello che conta nel futuro,
dice, è che la nuova provincia potrà annoverare due capolavori: “Alessandria è
la terra di Umberto Eco. Lui è autore di un grande bestseller del secolo scorso
come «Il nome della rosa», io di un altro bestseller di questo secolo, «Io
uccido» (quattro milioni di copie)”. Non da comico, sul serio.
Dandy – Ritorna curiosamente con Alessandro
Piperno. Le cui Grandi Leggi proustiane, da francesista e da scrittore, sono la
demolizione dell’amore romantico (ma allora Proust è un parodista?). Curiosamente
perché Piperno fa il professore, veste trascurato (almeno nelle fotografie), e
si capisce qui e là legato alla famiglia. Mentre il proprio del dandy è di
trarsi fuori, dalle passioni, e per primo dall’amore, il dandy è anzitutto un
igienista. Ma scrive da dandy: cioè, senza disprezzo, chiamandosi fuori. Per il
rifiuto radicale generale. Giustificandosi, come Baudelaire, il dandy archetipo, il più romantico di
tutti, giustificando la curiosità di
autore e critico come un doping
indotto, dalla moda (attualità), la pedagogia sociale, la tradizione.
Dandy è anche
una delle forme possibili di stare in una realtà modesta – come quella di
Baudelaire prima e dopo il brevissimo ’48. Di limitare i danni.
Follia – C’è molta letteratura (romanzi, poesie)
sui folli, e molta letteratura ultimamente (romanzi, poesie) di folli, R.
Walser, Wolfson, Merini. “Le Magazine Littéraire” di ottobre, la rivista e il
sito, elencano varie pubblicazioni a Parigi in questa nuova stagione con tema
la pazzia. Ma non c’è uno studio sul rapporto, che sicuramente esiste, tra la
schizofrenia e la parola. La parola “esatta”. C’è uno studio di Jaspers,
filosofo della psicologia, su “Genio e follia”, ma quasi biografico, su Van
Gogh e Hölderlin. Uno studio linguistico sarebbe sicuramente più illuminante, su
A. Merini, su “Incom” (Saro Napoli): sulla parola più che sulla follia, sugli
stati psicotici che esprimono la parola – la parola “giusta”.
Pierre-François Lacenaire, giornalista e
poeta, fu rivoluzionario nel 1830, ghigliottinato nel 1836, per avere
assassinato, tra gli altri, una vecchietta e il suo figlio omosessuale. Un poeta
assassino, che si voleva anche lui “oratore del genere umano”, come i migliori
spiriti dell’Ottantanove. Ma folle,
anche se il giudice gli rifiutò la qualifica. Uno che si diceva vittima
dell’umanità e andava in giro facendosi “giustizia”. E tuttavia scriveva
corretto, prima e dopo la condanna.
Pascoli - Lamentava “più
intenditori, nel mondo, del mio latino che in Italia del mio italiano”. Perché
voleva una “lingua viva”, dopo aver sancito che “la lingua della poesia è sempre
una lingua morta”. In particolare in Leopardi, il meno aulico dei poeti
italiani, rilevava che usa in poesia solo parole auliche. Ma di suo, per
abbassare “il tono aulico della lingua poetica italiana” (Schiaffini), ha
prodotto una lingua irta, di dialettismi, forestierismi, tecnicismi, ucronismi,
parole rare o desuete. Si dice un poeta delle cose semplici, ma è un poeta
filologo – poetava, oltre che in latino, anche in greco, francese, inglese. Il
suo dialetto, peraltro, non è quello del verismo, né della coeva letteratura
sociale d’ambiente, della strada e delle
“vittime”, secondo i propri modi, regionali, sociali, ma di una domesticità
quasi chiusa, volutamente.
.
Premi – Tutti gli scrittori, compresi gli
esordienti e i giovanissimi, vantano tre o quattro premi all’attivo a ogni opera
che pubblicano. Premi anche locali, sconosciuti, di nessun pregio. Ma indicano
che lo scrittore fa parte di un gruppo, una cordata, una scuola – la maggior
parte di questi premi, un tempo opera delle pro loco, sono ora messi su dalle
scuole di scrittura. La letteratura come business,
il marketing è il punto focale.
Vino – Si beve vino con Sherlock Holmes, quando
non è whisky. Non birra. Una geografia letteraria del vino e della birra
riserverebbe sorprese. L’Europa
che non trova radici ne avrebbe due consolidate, per mentalità e linguaggi,
l’area del vino e quella della birra.
Nella
vecchia Repubblica Federale, prima della riunificazione, il vino era, se non
prevalente (Adenauer probabilmente era astemio), condizionante, insieme con l’area
renana, nella geografia complessiva. E ne ha caratterizzato la politica, in
senso europeo, possibilista, non prevenuto, non da sensi di superiorità.
Era
così la vecchia Germania che nasceva con Carlo Magno, “renana”: la vite prevaleva,
il vino che accende la lettura. “Lasciva est nobis pagina, vita proba”,
canta Ausonio, il poeta di Bordeaux che poetò la Mosella. La Mosella è la Germania
più romanizzata, col Sud Tirolo ora italiano: da sempre terre del vino. Vandelberto,
abate di Prün, sempre area del vino, versificò il calendario, come Francis
Jammes. Si passano le frontiere ignari: prima degli Stati la vite univa Francia
e Germania.
Si fa poesia col vino, si filosofa con
la birra?
Anche la Colpa si può legare alla birra,
la colpa
della Germania: il vino si sa che segue il temperamento senza cambiarlo, s’intende
nelle ciucche, gli scarti di umore vengono dalla birra.
Voce – Ha una forte
capacità connotativa. Nel “Padrino”, se ascoltato in lingua originale, Coppola caratterizza
i personaggi anche con le voci. Specie quando parlano italiano, i loro
specifici dialetti. Le sonorità e le
diverse cadenze dialettali hanno un effetto immediato di rappresentazione:
l’italo-americano dei diversi ceti sociali, e i dialetti dei vari paesi
d’origine. Soprattutto nel “Padrino II”, quando il giovane don Vito (De Niro)
torna a Palermo per vendicare i genitori: il barbiere di Gioia Tauro, garrulo,
puntuto, inerme, il contorto, taciturno, violentissimo, palermitano.
È
rivelatrice. La cadenza milanese, per esempio, è
castigliana, curiale – la Spagna a Milano è irrisa e cancellata dopo Manzoni,
ma ha improntato la parlata. Ascoltando due voci, specie femminili, senza
distinguere le parole, si ha la sensazione che possano essere sia madrilene sia
milanesi. È
un caso, Milano, del “traudire” di Praz, della “stanza accanto” di Vernon Lee,
quando in casa, in strada, un suono fluisce, un violino, il canto, un piano,
senza una figura o uno strumento, alcunché di materiale, in vista, solo la
melodia.
letterautore@antiit.eu
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