martedì 20 novembre 2012

Quando gli arabi si volevano europei

A parte il titolo, un altro mondo. Piovene fa il resoconto di un convegno cui ha partecipato alla Fondazione Cini a Venezia, organizzato dall’avvocato Carnelutti, in chiave autocritica: sulle colpe del colonialismo e dell’Occidente. Era il 1955 e le critiche non mancarono, ma da parte di intellettuali islamici tutti integrati. Islamici, poiché molti citano il “Corano” a memoria, ma occidentali. Che non si smarcavano dagli illustri orientalisti italiani presenti, Levi Della Vida, Gabrieli, Nallino, e dal teologo padre Giuseppe Bozzetti, generale dei Rosminiani, e anzi li elogiavano. L’islamista Alessandro Bausani, allora giovane traduttore del “Corano”, invano spiegò l’irriducibilità delle due fedi, la cristiana e l’islamica, anche in campo sociale e politico, in virtù della diversa natura delle rispettive religioni – l’una aperta, legata a “una persona, il Cristo, da imitare”, l’altra chiusa sui dettami del “Corano” a protezione dell’umma, la comunità dei credenti. Tra il Sud e il Nord del mediterraneo si vedevano solo punti di contatto.  
Il convegno non era isolato. Erano quelli anni in cui anche da parte araba si organizzavano convegni per una migliore integrazione. Di Jean Amrouche e la rivista “Comprendre”, tra i tanti, con altri illustri intellettuali algerini. Mentre dell’Europa nascente faceva parte un politica mediterranea, di integrazione economica della sponda Sud del Mediterraneo. Ma, seppure in chiave storica, il più anziano rappresentante arabo al convegno, lo storico tunisino Hassan Husni Abdul-Watab, ne spiegava l’impossibilità. Il Mediterraneo è unitario, ed uguale per tradizioni, comprese le sue due religioni. “Ma l’unità mediterranea è stata spezzata dall’invasione di elementi nordici. Provenienti da una natura non dolce ma ostile, erano meno disposti alla vita pacifica… Essi fecero del Mediterraneo il mare della guerra, dei navigli nemici, delle lotte per i mercati. Questi conflitti di carattere utilitario furono travestiti da conflitti ideologici. I signori feudali presentarono l’islam sotto la veste di Anticristo”. Una polemica analoga a quella dell’ortodossia bizantina contro i signori della guerra chiamati dal papa, da Carlo Magno ai “figli del sole” normanni. Per Piovene “una curiosa tesi, geografica e deterministica”. Ma non avventata.
Il referto di Piovene è stato ripreso all’indomani dell’11 settembre 2001, con un saggio di Bruno Monteforte, che ripropone il vecchio assetto, e ne spiega anche la necessità – che tolleranza è, questa di cui l’Occidente si fa vanto, se non tollera quando deve tollerare? Notevolissima, a sessant’anni di distanza addirittura profetica, l’osservazione con cui Piovene, anch’egli partecipante al convegno, lo chiude: “La rivoluzione moderna ha un fondo conservatore, consiste in un moto universale di rifiuto a essere altri che se stessi”. Si può “antivedere una civiltà nella quale nessuno avrà l’egemonia”. L’Occidente è in migliore posizione per questo nuovo avvento, per il suo senso critico e autocritico. “In un mondo nel quale tutti rifiutano le tutele che li snaturano, se l’Occidente rinunciasse alla propria anima, sarebbe una triste eccezione”. Ma è un passato ormai, che non ritorna.
Guido Piovene, Processo dell’islam alla civiltà occidentale

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