Amedeo Quondam ne ha fatto la rappresentazione e la storia non
molti anni fa, con gusto anche se senza fortuna. Per “rabbia e orgoglio”, dice.
Per rabbia contro l’esproprio che di questo “grande modello culturale della
modernità” fece Parigi – un esproprio che era stato consacrato qualche anno
prima anche in Italia da Benedetta Craveri, in un libro invece fortunato, “La civiltà
della conversazione”. Il presidente degli italianisti riporta l’arte della
conversazione al Rinascimento. Dalla fine del Quattrocento si susseguono le
narrative e le normative del genere, col Castiglione, il Della Casa, Pontano,
Guazzo – ma già, si potrebbe dire, con Boccaccio. Discorso diverso è
naturalmente l’incidenza dei modelli culturali sulla società. O la cesura fra élite e popolo in Italia, specie del
letterato-intellettuale, che si fa un dovere della torre d’avorio - diverso dal
poeta, epico, fantastico, Barberino, Ariosto, Tasso.
Amedeo Quondam, La
conversazione. Un modello italiano, Remainders, pp. XVII, 347, rilegato, €
12,60
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