Amore – Boris Pahor lo
vorrebbe insegnato tra le materia scolastiche (“La villa sul lago”, p. 95). Ma come precetto e non come
logica. “Che non c’è peccato”, vorrebbe insegnato, “all’infuori di quello
contro l’amore”. Come un dovere dunque? No, l’idea funziona se pedagogica,
conoscitiva, e non normativa, doverosa: che vuol dire che bisogna credere
all’amore? Ma muoversi come se sarebbe senz’altra una novità.
Ironia – In Jane
Austen qualcuno ha “la non incerta impressione che l’ironia sia un insulto
celato in un sorriso”. Ma bisogno essere granitici per pensarlo, tutti d’un
blocco. L’ironia è anzitutto uno scherzo, una forma giocosa.
Rorty
ne fa la rete della società liberale o “liberale”. Sul presupposto che ogni
linguaggio, e ogni società, è “contingente”. Legata a un “vocabolario” o set di
espressioni, di grumi comunicanti. L’“ironista” è quello che, possedendo altri
“vocabolari”, o comunque essendone a conoscenza, ha “dubbi radicali e continui”
sul suo proprio vocabolario, senza naturalmente la pretesa che il suo sia il
“vocabolario” definitivo o esclusivo. Proust lo è, dice Rorty, che
costantemente ricontestualizza e ridefinisce i personaggi che presenta.
Nietzsche lo è perché sa che ogni verità è contingente, anche se di suo tende a
metafisicizzare. Heidegger lo è perché rigetta la metafisica, anche se con
eccessiva verbosità. Il miglior ironista è Derrida, il decostruttivista, che
così ricrea il suo passato (Rorty è specialmente ammirato di “La carta postale:
da Socrate a Freud e al di là”) invece di essere creato dal passato. Orwell non
lo è, rappresentando la “crudeltà istituzionale”: non solo la mette in scena,
ma ne è l’agente segreto, poiché depriva la comunità liberale della speranza –
Orwell è un liberale che non è ironista, Heidegger un ironista che non è un
liberale.
Libertà
–
Non ce n’è mai stata così poca come da quando ce l’hanno imposta.
Nel
suo dizionario a dispense di filosofia per “La Biblioteca di Repubblica”
Ferraris si rifà a Vonnegut, al racconto “Cronosisma”, e al mistero del libero
arbitrio. Un riferimento romanzato
migliore lo avrebbe trovato ne primo romanzo di Flannery O’Connor, “La saggezza
nel sangue” – “un romanzo comico su un cristiano malgré lui” lo dice l’autrice, sul predicatore evangelico
disgustato che elabora “una chiesa senza Cristo”. Flannery O’ Connor lo spiega
nella nota alla riedizione del 1962: “Può trovarsi la propria integrità in ciò
che non si è capaci di fare? Penso che di solito vi si trova, perché il libero
arbitrio non significa una volontà, ma più volontà in conflitto in un uomo. La
libertà non si può concepire semplice. E una che a un romanzo, anche a un
romanzo comico, si può solo chiedere di approfondire”.
Morale - Uno cerca la morale della morale, dice Bachmann, e i conti non
tornano. Da che si evince la morale? C’è Dio, ma chi ne sa nulla. Darwin lo
dice un istinto, come quello che regola le api nell’alveare.
Il peccato originale è in fondo l’anima
collettiva. Le anime se ne liberano nel presente come una colpa. Nella Grecia
antica immergendosi nel Lete, il fiume dell’oblio. I cristiani sostituirono al
Lete il Giordano, facendo del rito purificatore una rinascita e del suo
ministro il precursore della salute. Nelle
catastrofi balena l’anima. Il punto è: cambia qualcosa, cambieremo noi tutto, o
siamo parte di quei moti oscillatori, indecisi, della storia? La storia è
pesante.
Morte – L’inconscio la
ignora, aveva scoperto Freud: la visione è per l’io impossibile – “anche
Pavese la alterizza, “verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
Storicismo – È finito col
Muro, sii dice. Con l’ultimo grande disegno di utopia-provvidenza in azione.
L’ultimo fallimento della “tradizione hegeliana”. Eccetera. O non è cominciato
(ricominciato) con la caduta del Muro. C’è stria dove non c’è sistema, ideologia. Anche il sistema e
l’ideologia sono storia, ma come ingredienti.
Quello
che viviamo, peraltro, il mercato, non è una grande disegno – seppure (forse)
non hegeliano?
Tempo – È, aggiornato a Wittgenstein, l’oggi che non
è. Il tempo atemporale di Weininger. E
di I. Bachmann, “Malina”: “Il tempo non è oggi”, l’oggi è il momento fuori del
tempo. Impensabile se non a corredo di una psicologia, un personaggio – una
finzione. È il rovesciamento della “linea del tempo”, da Cicerone a Hegel,
della storia provvidenziale, seppure secolarizzata, e in questo benemerito, ma
non più di tanto.
Vivremmo
dunque nel passato e nel futuro. I quali però sono solo oggi. Anche in senso
temporale: la storia (passato) è pochi secondi nella giornata di vita
dell’universo. E più nel linguaggio, la coscienza delle cose: è il presente che
legge (fa) il passato e modella il futuro. L’ipotesi fantascientifica del
futuro che modella il presente, come aspettativa o destino, è la
predestinazione: il desiderio di un castigo.
zeulig@antiit.eu
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