martedì 13 novembre 2012

Secondi pensieri - 123

zeulig

Amore – Boris Pahor lo vorrebbe insegnato tra le materia scolastiche (“La villa sul  lago”, p. 95). Ma come precetto e non come logica. “Che non c’è peccato”, vorrebbe insegnato, “all’infuori di quello contro l’amore”. Come un dovere dunque? No, l’idea funziona se pedagogica, conoscitiva, e non normativa, doverosa: che vuol dire che bisogna credere all’amore? Ma muoversi come se sarebbe senz’altra una novità.

Ironia – In Jane Austen qualcuno ha “la non incerta impressione che l’ironia sia un insulto celato in un sorriso”. Ma bisogno essere granitici per pensarlo, tutti d’un blocco. L’ironia è anzitutto uno scherzo, una forma giocosa.

Rorty ne fa la rete della società liberale o “liberale”. Sul presupposto che ogni linguaggio, e ogni società, è “contingente”. Legata a un “vocabolario” o set di espressioni, di grumi comunicanti. L’“ironista” è quello che, possedendo altri “vocabolari”, o comunque essendone a conoscenza, ha “dubbi radicali e continui” sul suo proprio vocabolario, senza naturalmente la pretesa che il suo sia il “vocabolario” definitivo o esclusivo. Proust lo è, dice Rorty, che costantemente ricontestualizza e ridefinisce i personaggi che presenta. Nietzsche lo è perché sa che ogni verità è contingente, anche se di suo tende a metafisicizzare. Heidegger lo è perché rigetta la metafisica, anche se con eccessiva verbosità. Il miglior ironista è Derrida, il decostruttivista, che così ricrea il suo passato (Rorty è specialmente ammirato di “La carta postale: da Socrate a Freud e al di là”) invece di essere creato dal passato. Orwell non lo è, rappresentando la “crudeltà istituzionale”: non solo la mette in scena, ma ne è l’agente segreto, poiché depriva la comunità liberale della speranza – Orwell è un liberale che non è ironista, Heidegger un ironista che non è un liberale.

Libertà – Non ce n’è mai stata così poca come da quando ce l’hanno imposta.

Nel suo dizionario a dispense di filosofia per “La Biblioteca di Repubblica” Ferraris si rifà a Vonnegut, al racconto “Cronosisma”, e al mistero del libero arbitrio. Un  riferimento romanzato migliore lo avrebbe trovato ne primo romanzo di Flannery O’Connor, “La saggezza nel sangue” – “un romanzo comico su un cristiano malgré lui” lo dice l’autrice, sul predicatore evangelico disgustato che elabora “una chiesa senza Cristo”. Flannery O’ Connor lo spiega nella nota alla riedizione del 1962: “Può trovarsi la propria integrità in ciò che non si è capaci di fare? Penso che di solito vi si trova, perché il libero arbitrio non significa una volontà, ma più volontà in conflitto in un uomo. La libertà non si può concepire semplice. E una che a un romanzo, anche a un romanzo comico, si può solo chiedere di approfondire”.

Morale - Uno cerca la morale della morale, dice Bachmann, e i conti non tornano. Da che si evince la morale? C’è Dio, ma chi ne sa nulla. Darwin lo dice un istinto, come quello che regola le api nell’alveare.
Il peccato originale è in fondo l’anima collettiva. Le anime se ne liberano nel presente come una colpa. Nella Grecia antica immergendosi nel Lete, il fiume dell’oblio. I cristiani sostituirono al Lete il Giordano, facendo del rito purificatore una rinascita e del suo ministro il precursore della salute. Nelle catastrofi balena l’anima. Il punto è: cambia qualcosa, cambieremo noi tutto, o siamo parte di quei moti oscillatori, indecisi, della storia? La storia è pesante.

Morte – L’inconscio la ignora, aveva scoperto Freud: la visione è per l’io impossibile – “anche Pavese la alterizza, “verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.

Storicismo – È finito col Muro, sii dice. Con l’ultimo grande disegno di utopia-provvidenza in azione. L’ultimo fallimento della “tradizione hegeliana”. Eccetera. O non è cominciato (ricominciato) con la caduta del Muro. C’è stria dove non  c’è sistema, ideologia. Anche il sistema e l’ideologia sono storia, ma come ingredienti.
Quello che viviamo, peraltro, il mercato, non è una grande disegno – seppure (forse) non hegeliano?

Tempo –  È, aggiornato a Wittgenstein, l’oggi che non è. Il tempo atemporale di Weininger.  E di I. Bachmann, “Malina”: “Il tempo non è oggi”, l’oggi è il momento fuori del tempo. Impensabile se non a corredo di una psicologia, un personaggio – una finzione. È il rovesciamento della “linea del tempo”, da Cicerone a Hegel, della storia provvidenziale, seppure secolarizzata, e in questo benemerito, ma non più di tanto.
Vivremmo dunque nel passato e nel futuro. I quali però sono solo oggi. Anche in senso temporale: la storia (passato) è pochi secondi nella giornata di vita dell’universo. E più nel linguaggio, la coscienza delle cose: è il presente che legge (fa) il passato e modella il futuro. L’ipotesi fantascientifica del futuro che modella il presente, come aspettativa o destino, è la predestinazione: il desiderio di un castigo.

zeulig@antiit.eu

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