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giovedì 22 novembre 2012

Secondi pensieri - 124

zeulig

Amore – È grazia. Si può morire d’amore, ma perché già è morto l’amore. Come nella poesia necrofila tedesca, dei poeti che l’amata la vogliono morta.

Si racchiuderebbe oggi nella formula svetoniana “invitus invitam”, a proposito dell’imperatore Tito che allontana Berenice - seppure nel rapporto  inverso, “invita invitum”: non volendo. Non volendo lui, non volendo lei. Per lo stress, per l’egotismo, perché a casa dalla mamma si sta meglio.

Corpo – È una delle poche cose (la sola?) maschio-femmina. As we go marching marching\we battle too for men,\for they are women’s children,\and we mother them again.\ Hearts starve as well as bodies,\Bread and roses! Bread and roses!”, “I cuori hanno fame come i corpi”,  cantava Mimi Fariña dei Bread ‘n Roses, con i quali faceva musica gratis nelle scuole, gli ospedali, le prigioni, gli ospizi, prima di diventare bandiera incongrua della guerra dei sessi, e loro, gli uomini, “sono figli delle donne,\che nuovamente li generiamo”.
Non divide la bellezza. La bellezza delle donne è contestata, non solo dai filosofi. C’è una consistente tradizione, sotterranea ma costante sotto gli inni e i madrigali, da Simonide allo Pseudo Luciano e Achille Tazio, ai padri della chiesa e ai grandi amatori Ovidio e Baudelaire, che ne fa ludibrio. Molte donne la curano, specie del genere proustiano, sensibili cioè e di spirito vago, con le virgole, tutte scrittura, come Chopin è musica pura, ma per farsi inabbordabili - Proust, si sa, è Bosch e non Breughel, benché s’ingentilisca con Vermeer e Manet.

Crisi - Il senso della crisi è antico e si rinnova vivace, spiega Huizinga, uno specialista. Viviamo nell’attesa della fine del mondo. Ciò a Kant riesce inspiegabile: “Perché gli uomini si aspettano la fine del mondo? E perché se l’aspettano con terrore?” La nozione risale a Ippocrate, quindi alla malattia. Ma si applica ai processi morbosi della finanza e della politica, che hanno la febbre, dice Kant, con “deliri, fantasie selvagge, discorsi insensati”, se non sono allucinazioni, “in seguito a lesioni dei centri del sistema nervoso, e alle forze sociali non più regolate e rattenute da un principio superante la finalità di ciascuna di esse, giacché lo «Stato» non è siffatto principio”. Forse è un rigurgito del bisogno di felicità, dopo che lo stesso filosofo ha demolito il vecchio desiderio. Il fatto è che “l’Occidente e l’Europa”, conclude Kant, “e solo essi, sono «filosofici». Il fatto è attestato dalle scienze”.
Se la scienza connota la storia dell’uomo, cioè la storia, è perché trae origine dall’Occidente, cioè dalla filosofia. E dunque l’Occidente è la filosofia. Se la filosofia è depressa, l’Occidente è depresso. Se la filosofia è niente, l’Occidente è niente. Se l’Occidente impera, impera il niente. Gli Usa ne sono prova, che come si sa non esistono.

È severo il professor Severino, che per questo è stato condannato dal Sant’Uffizio e cacciato dalla Cattolica: “Già alle origini dell’Occidente, con i greci, la storia diventava impossibile. I greci hanno scoperto il carattere radicale del nulla. L’uomo pre-greco sapeva di compiere con la morte un viaggio in un mondo da cui avrebbe potuto forse tornare. Vivere tra il nulla e il nulla è in realtà morire, e questo è l’atto supremo di conoscenza”.
Il nichilista è miglior cristiano lo diceva Oscar Wilde, in altro senso. Coleotteri siamo, ancorché giganti, che vivono di escrementi. La famosa catena ecologica. Coleotteri pensanti, che la vanno a raccontare.

Diritti – I diritti individuali sono doveri della storia. Ma solo in Occidente.

Etica - È locale. E stratificata: socialmente, etnicamente, perfino orograficamente – ce n’è una per la montagna e una per la pianura, e in montagna per le vette e per le valli, se cupe. Gli Usa, che molto legano ultimamente la morale al sesso, hanno bandito fino al 1933 l’ “Ulisse” di Joyce per oscenità, hanno avuto difficoltà a stampare “Lolita”, tre anni dopo l’edizione parigina, non hanno potuto tradurre il “Decameron” fino al 1930, e ancora con molti passi lasciati in volgare  trecentesco, e hanno misurato fino al 1967 il tempo dei baci al cinema, la scollatura e il costume da bagno, tutto codificato in un “Codice Hays”. Ma erano il popolo che più divorziava al mondo per una scopata migliore. L’etica è una norma.
Subito dopo, subito dopo il Sessantotto, la trasgressione negli Usa è la regola. Anche col postino, a opera di casalinghe, e nei racconti di Updike. Anche Marlon Brando starnazzava nel 1973 al festival al Lincoln Center, vedovo forse cornuto nel film di Bernardo Bertolucci “Ultimo tango a Parigi”, facendosi seppure col burro un’altra conoscenza occasionale, a quel che si vede non trascurabile - e con Bertolucci che al Lincol Center, al party della United Artists, produttrice del film, intona l’Internazionale.
Dopo il Sessantotto l’etica si fa hectic, febbrile, rara parola americana derivata dal greco. Dove invece significa l’opposto, abituale, e non si sa più come prendersi: la lussuria secondo Giovenale viene all’apogeo dell’impero, sarà per questo che l’America bacchettona di colpo lussureggia? Bere no, non si fa più. Si beveva nei romanzi beat, poi non più, e fumare è da sfigati, da padiglione incurabili. Mentre si scopa in ogni film, anche se le inquadrature sono disagevoli, con chiunque, ovunque, a ogni ora. Ciò impone l’accantonamento di alcuni generi, i film tutti uomini, biblici, fantastici, per ragazzi, ed è un problema.

Relativismo – È dogmatico. Il dubbio lo è, distruttivo. Come un personaggio di una storia della Bible Belt Usa può dire, in “Wiser Blod” di Flannery O’Connor, una sorta di minorato: “C’è ogni sorta di verità, la vostra verità e quella di qualcun altro, ma dietro a esse tutte c’è una sola verità: ed è che non c’è verità”. È il relativismo volgare, ma non ce n’è altro.

Riti – Resistono quelli del glamour. Lenti, ripetitivi, “freddi”. Anzi hanno eclissato ogni altro. Ogni concerto di rockstar, anche solo di una promessa, ha un rituale invariabile, di urla (inni), gesti, decori, pause, riprese, e l’inevitabile applauso. L’applauso è, seppure autoinflitto, l’atto catartico, liberatorio. Un festival del cinema ha un lungo tappeto rosso, transenne, limousine, molti vigili in pennacchio, e gruppetti di attori-registi-sceneggiatori, due maschi in genere e due o tre femmine, in deshabillé con qualsiasi tempo, i maschi un tempo in smoking (Pasolini con la camicia plissetée), ora altrettanto rigorosamente casual. Che vanno e vengono, si fermano, si fanno molte foto, in pose lente, un gruppetto dopo l’altro, il cerimoniale è invisibile ma ferreo, la sfilata può prendere ore, mentre i pubblico aspetta sempre attento e partecipe.

Riso - Una ragione per eliminare i vecchi c’è, spiega Propp, l’analista delle fiabe: “Tra l’antichissima popolazione di Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di uccidere i vecchi. E mentre uccidevano i vecchi, ridevano sonori”. È una commistione: a Creta, alle origini dell’Occidente, una statua di bronzo fu donata, di nome Telo, che ogni giorno faceva il giro dell’isola, e se incontrava un nemico fenicio lo arroventava abbracciandolo ridendo. La risata passò in Sardegna quando Telo e i cretesi, fonditori di metallo, si trasferirono nell’isola ricca di miniere – via Sardi di Libia, lì vicino? Il riso nacque così irridente. È una liberazione, il riso certo, non la lapidazione, e non dai poveri vecchi: sempre i giovani hanno riso. Pure Isacco, “colui che ride”, sotto il coltello del padre Abramo, forse perché stava per vanificare d’anticipo tutto il freudismo. E Beatrice alla visione beatifica.

Tempo – Bacone lo dice “partus masculus”. È importante per stabilire i nessi di potere e i rapporti di forza, come si domina e come si è dominati.

Nel progetto di Cristo il tempo del mondo sarà una pausa, con un inizio e una fine, dentro l’eternità. Accoppiata eterogenea, avendo i due tempi natura diversa, ma preparatoria all’esame di riparazione: il tempo cristiano è storia breve e unica, che non si ripete, andando per linea retta da un inizio a una fine. Insomma, il tempo come riflesso dell’eternità. La storia è rivelazione di Dio anche per molti gentili, dopo sant’Agostino: Pascal, che dubita ma ci crede, Vico, Herder, Hegel, e Fichte perché no, con lo Spirito e l’Assoluto, o Heidegger. Magari di un Dio morto.

zeulig@antiit.eu

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