mercoledì 7 novembre 2012

Una specie scomparsa, l’italiano resistente

Si rilegge con rimpianto questo scorcio di autobiografia, per una figura di italiano scomparso: democratico e corretto, dai principi saldi. Magini, morto nel 2003, aveva redatto dieci anni prima questo ricordo della guerra, che è pieno di cose (il confino politico, la mobilitazione da ufficiale di complemento, la Resistenza, la prigionia e la deportazione), ma di più di un’etica. Non eccezionale, benché Magini vantasse una medaglia d’argento al valore militare, ma per questo più apprezzabile: da uomo normale.
Di famiglia antifascista, e tuttavia volontario in Africa nel 1936. Dal 1937 per tre anni insegnante d’italiano all’Istituto di cultura di Tallinn. Mobilitato in Jugoslavia e in Russia, e al ritorno confinato, per “attività sediziosa”, per un anno a Tito, in provincia di Potenza – dove incontra Marisa Tulli, “la più giovane confinata d’Italia”, che sarà la sua compagna di vita. Dopo l’8 settembre partigiano combattente, comandante delle formazioni Giustizia e Libertà in Lombardia. Protagonista della liberazione di Firenze, che poté proclamare l’11 agosto 1944. Fino al 6 novembre 1944, quando venne arrestato, con lo stato maggiore del suo gruppo, su delazione. Si farà i lager di Bolzano, Mauthausen, Gunskirchen, ma sopravvisse.
Ricorderà di avere avuto come direttore al’Istituto di cultura di Tallinn Indro Montanelli, nel biennio 1937-38. Che vi si vantava confinato da Mussolini in punizione per aver scritto che l’avanzata fascista in Spagna era una passeggiata - Mussolini voleva farsi dire battuto? Due volontari d’Africa ma due specie diverse di italiani, di cui una imperversa e anzi è idolatrata, conformista, cinica, l’altra è sparita.
Alla fine della guerra Magini è stato editore,  con prefazione di Parri, dell’“Elogio della galera”, le lettere di Ernesto Rossi, recordman di evasioni dalle prigioni di Mussolini dopo Altiero Spinelli. Nell’occasione, e dopo, propose un dubbio di cui non riusciva a liberarsi:Perché l’azionismo era decimato dagli arresti?” E si rispondeva: “Perché era infiltrato. Bersaglio di denunce, anonime”. Aggiungendo: “E perché non scriveva lettere anonime, non a carico degli altri oppositori”. Da comandante partigiano si era specializzato a rubare i rifornimenti, specie di cibo, alle formazioni garibaldine, che monopolizzavano i lanci alleati. Prigioniero dei tedeschi, non aveva diritto all’assistenza della Croce Rossa Internazionale perché non era prigioniero di guerra - i militari italiani non lo erano. Poco o niente ebbe dalla Croce Rossa Italiana, che era la scassata Assistenza Militari di Salò. Qualche pacco dalle famiglie però l’Assistenza riusciva a far arrivare. Arrivavano tutti da sopra l’Appennino, e i destinatari se li mangiavano da soli. Solo un capitano siciliano lo divise con la camerata, una volta che ne arrivò uno dalla sua famiglia. 
Manlio Magini, Un itinerario per il lager

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