Un anno fa aveva irriso gli ispettori del fisco,
che avevano trascorso lo straordinario festivo notturno del week-end nei suoi
negozi a Milano. Con la scusa di controllare gli scontrini. Ora vende in tutto
il mondo, “da Londra a Hong Kong”, un panettone speciale, migliore di quello
che si faceva a Milano, “il migliore”. Ma questo Rocco Princi quando lo mettiamo
dentro per ‘ndrangheta?
Raffaele Nigro propone
(“Lettera di Natale”, scritta al Salvatore che ha lasciato il paese per il
mondo globalizzato – in Aa.Vv., “Natale mediterraneo”) un’Italia non più
“latitudinale”, divisa tra Nord, Centro e Sud, ma un’Italia adriatica, una
tirrenica e una appenninica. Molto più
vera, in effetti, nella storia e anche nella contemporaneità.. L’appenninica
Nigro fa partire dai monti Iblei, su fino al giunto tosco-marchigiano-emiliano
e alla Cinque Terre, più “le montagnole delle Langhe”. È uno scheletro che
tiene benne in letteratura, a un primo ripasso e anche a un secondo.
Natale,
la festa della nascita, cioè della speranza, viene trasformata in episodio notturno,
di malattia, di dolore nei racconti di “Natale Mediterraneo”, con i racconti di
scrittori meridionali. Cosa che non è nella pratica, che ancora non risente del
rifiuto – del dono, del cibo, della famiglia allargata, dei buoni sentimenti. I
racconti sono espressione di una forma depressiva indotta, uno dei tanti
aspetti del rifiuto del Sud da parte del Sud. A opera dell’ “Italia”, nella cui
deriva il Sud assume la connotazione di capro espiatorio (“ah, se non ci fosse il Sud”) e di pietra di paragone
(“siamo ridotti al Sud”) – il Sud che ne è solo vittima (solo no, ma insomma…).
Lo Stato-mafia
In una lunga pagina su
“Le Monde Diplomatique” di novembre Serge Quadruppani si fa raccontare da
Gioacchino Criaco ad Africo Vecchio che “i moti di Reggio”, insurrezione
popolare di massa, furono domati grazie all’infiltrazione di elementi del Msi
neofascista, di cui alcuni “membri dei servizi segreti”. Dopodiché “tutti i
capi della mafia calabrese, la celebre ‘Ndrangheta, furono assassinati, sia
dalle forze dell’ordine sia da presunti concorrenti. E tutti furono sostituiti”
- qui Quadruppani si cautela con un “sostiene lui” - “dai membri dei servizi
segreti. Da allora, la ‘Ndrangheta è il quinto corpo della polizia dello Stato,
quello che gestisce per conto di quest’ultimo l’economia sotterranea e argina i
moti d’insubordinazione del Sud ribelle”.
Può darsi che ad Africo
Vecchio i “membri” prendano consistenza - è un cumulo di macerie e rovi, in
abbandono da quasi un secolo, roba da fantasmi. Sicuramente “Le Monde
Diplomatique” ama sballarle. Ma Quadruppani non è uno qualsiasi. È scrittore,
saggista, traduttore, giornalista, editore. È autore in proprio di romanzi
polizieschi,. Ed è il traduttore in francese di Camilleri. È anche editore di
Criaco. Che non dicessero sul serio?
O Criaco non si è
privato del piacere di sballarle grosse, col visitatore venuto da Nord. Lo
scrittore, autore di “Anime nere” e
“Zefira”, è uno che sa quello che succede. Uno Stato vero, diceva quattro anni
fa, “dovrebbe dare risposte serie, non forti, regole normali, non
speciali. Dovrebbe individuare e punire singoli colpevoli e non sparare nel
mucchio. Dovrebbe dare libertà e risposte alle comunità territoriali. Non
accendere fugaci meteore, fatte solo di divise e manette. Dovrebbe supportare
le voci locali e non soffocarle solo con parate militari. La Calabria ha
bisogno di sentire la presenza dello stato nella quotidianità, nella normalità,
non nell’emergenza”.
Mafia e antimafia
C’è un
delitto al Sud e non c’è risposta dallo Stato – dall’apparato repressivo,
giudici e polizie. Il reato va alla statistica, e dopo venti-trent’anni, un
considerevole accumulo, la giustizia procede, arrestando e sequestrando.
Si sequestrano
patrimoni frutto di decenni di reati, quasi tutti a danno di altri non
criminali cittadini. Che in quei decenni hanno perso i beni, la tranquillità e
la salute, mentre i criminali si ingigantivano per la sola impunibilità. Punto
d’attrazione irresistibile per il reclutamento. Dopo cioè che centinaia di
famiglie sono state rovinate. E altre centinaia - non necessariamente di
politici o “classi dominanti” - coinvolte in correità: per disperazione, per quieto
vivere, e per ogni sorta di favori, piccoli e grandi, posti, appalti, prestiti,
licenze immobiliari. Quando non si ritrovano corrotti i minori, nei furti, la
droga, lo spaccio, il riciclaggio, le intimidazioni, e perfino gli assassinii.
L’esperienza
è ormai lunga al Sud di questa giustizia a scoppio ritardato. Per ragioni
peraltro che esulano dalla giustizia – che è prevenire, e punire i colpevoli:
vendette politiche, vendette mafiose. Il
vero ambiente criminale ci è stato creato non da tare ereditarie (di che? della
grecità? della vita chiusa nelle valli di montagna? e in pianura, allora?), né
dalla razza, ma dalla giustizia. Dall’“Italia”.
“Lo Stato
meridionale”
Goffredo Parise ha nei
“Sillabari”, alla voce “Mistero”, ”lo Stato meridionale”. Parise era uno che
stava bene nelle sue colline venete del Piave, e al Sud. Non a Forte dei Marmi,
spiega dettaglista in un fugace giro d’Italia delle villeggiature (“Gioventù”,
altro lemma dei Sillabari”), pur “bella… e ventilata e in certe ore ventosa”,
dove la bellezza gira attorno alla ricchezza, in “un involucro di calcolo e
aria fredda”, e “un mare blu trasparente di denaro”. Non a Portovenere,
Rapallo, Portofino, per “l’odore grigio, chiuso e ostico della Liguria”. Non al
Lago Maggiore, “un’acqua fredda color dell’acciaio”. Sta bene a casa, al Lido
di Venezia, ma soprattutto e sempre a Capri. Una specie di giro di sé oppresso
dalla canicola ad agosto a Roma, che ha definito in precedenza “quel tipo di
sopportazione mediterranea, come una cottura del cervello, che non permette
nessuna anche minima decisone”.
Chissà quale sarà “lo
stato settentrionale”.
Nello steso pezzo dei
“Sillabari”, Parise ha, tra i nudisti gay della spiaggia di Castelporziano, il
“volto quadrato di braccianti del Sud”. Non conosceva braccianti del Nord?
leuzzi@antiit.eu
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