È il Borges
conversativo, al suo meglio. L’aneddotica sulla cecità è inarrestabile. Della nonna
e il bisnonno, che morirono “ciechi, sorridenti e coraggiosi”. Non i soli, ma “si
ereditano molte cose (la cecità per esempio), non si eredita il coraggio”. Della
cecità sopravvenuta nel 1955, con la direzione inattesa della Biblioteca
Nacional. Dove i due direttori precedenti erano stati ciechi, Groussac e José
Marmol. Propiziando la “Poesia dei doni”: “La confessione della maestria\ di
Dio, che con magnifica ironia\ mi dette insieme i volumi e la notte”. E la capacità accresciuta di affabulazione e
scrittura. Come Milton, che “consumò la vista scrivendo libelli in difesa dell’esecuzione
del re a opera del Parlamento”, salvo poi essere graziato dal figlio del re
assassinato e scrivere i suoi illustri poemi. Cieco si voleva a suo modo Oscar
Wilde, e conviene leggere Borges per capire perché.
Sugli incubi,
cioè sui sogni, ogni citazione sarebbe borgesiana, una riproduzione pari pari
del testo, senza essere esaustiva. Uno da antologia è quello di Dante, la lettura borgesiana
del “nobile castello” che Dante incontra nell’“Inferno”. Borges è decisamente con Shakespeare: siamo
fatti della materia dei sogni. Ne siamo come dice Addison: attori, registi, autori,
dialoghisti, truccatori, costumisti, scenografi. Tutto dei sogni gli piace, anche
degli incubi, specie nella versione inglese, del nightmare, la cavalla notturna. E non esclude i sogni profetici. “I sogni sono
un’opera estetica, forse l’espressione estetica più antica, la cui forma si
rivela estremamente drammatica”, al modo di Addison. “E se gli incubi fossero
strettamente sovrannaturali?” In tutte le lingue “rimandano a qualcosa
d’innaturale”. E perché, nel sovrannaturale, non sarebbero “squarci
dell’inferno”? Anzi, e “se negli incubi ci trovassimo letteralmente
nell’inferno? Perché no? È tutto così strano
che persino questo è possibile”.
Una sola cosa si
può dire: che i sogni costituiscono per Borges, con gli specchi, il suo triplice labirinto
(una volta Borges vide, in casa di Dora de Alvera una stanza circolare con le
pareti e le porte di specchi: un labirinto e una prigione). Anzi quadruplice, poiché
con gli specchi vanno le maschere – e questo è il sogno di Baudelaire (il sogno
che hante Calasso nella “Folie
Baudelaire”, e nella seconda, illustrata, più che nella prima). Borges è una di quelle esistenze, non rare nel
Novecento ma senza precedenti, che sono state letteratura.
Jorge Luis
Borges, La cecità. L’incubo,
Mimesis, pp. 58 € 3,90
Nessun commento:
Posta un commento