Lou Andreas Salomé non ha ancora trovato
il suo interprete. Il biografo Peters ha sgonfiato i pettegolezzi sotto cui gli amici l’avevano seppellita, col dire (Nietzsche, Rilke) e col non
dire (Rée, Freud, Andreas): svampita coquette,
o peggio interessata allumeuse (Floris la vuole “strega” - una che fu sempre socialissima?). Ma non c’è una “sistemazione” del suo
pensiero, pure fertile per molti aspetti. Se non per la parte del femminismo
della “differenza” (Lou non è femminista: nel saggio rinomato su Ibsen annota del personaggio Hedda Gabler la “profondità vuota”, come “un abisso sul
nulla”).
“Sul problema dell’amore” è del 1900, e
corona i quattro anni passati con Rilke - in un rapporto pieno, passionale,
affettivo, creativo per entrambi, e d’incomparabile accumulo di esperienze, soli,
in società, in viaggio. Espone i temi che poi amplierà nella sua opera
maggiore, “L’erotismo”, scritto nel 1910 su insistenza di Martin Buber, dell’amore che è creatività e religiosità. L’erotismo Lou connette alla
creatività artistica. Per il comune “infantilismo”, l’ingenuità. Per il comune
parossismo, o acme, o concentrazione in un rapporto\opera. Per la comune
“intermittenza” - l’acme non è costante.
E al senso del divino.
L’anno dopo “L’erotismo”, l’incontro con
Freud e la folgorazione della psicoanalisi. Che nel 1914 arricchirà, in contrasto non polemico con
Freud, anzi dai lui privilegiata come interlocutrice, con questo “Tipo Donna”,
con la “differenza” della donna, amante, madre, madonna – successivamente con non
meno radicali distanze rispetto alla pulsione di morte del maestro (“Nella paura della morte c’è qualcosa che fa
pensare a un senso di colpa: con essa si manifesta forse la vendetta della vita
non abbastanza amata. La morte è un pregiudizio”), e con la categoria del “narcisismo femminile”. Ma anche qui non scherza: “Il Tipo Donna” è un
formidabile colpo d’incontro al cuore di Freud, ai “Tre saggi sulla teoria
sessuale” (la sessualità maschile è “la più coerente, anche la più facilmente
accessibile alla nostra ragione, mentre nella donna interviene persino una
specie d’involuzione”). Con due critiche, al “fatto” in sé, e all’opportunità
di definire un maschile e un femminile in modo netto e così antitetico. Il saggio inizia con i famosi
tre ricordi infantili, dei bottoni gioielli, della moneta d’argento divisa in
due col mendicante, in due monete d’argento entrambe, e della discesa nella miniera
di sale di Salisburgo, con le sue pareti brillanti.
L’amore è arduo
Filosofare l’amore è arduo, perché inevitabilmente
patetico (coinvolgente). Lou non arretra: “Nell’amore, l’egoismo non apre i suoi
confini diventando caritatevole e buono, ma piuttosto si acuisce e si affina
come per diventare una potente arma di conquista” (p.29). Molte citazioni sono possibili. Nella
passione “è come se nella nostra vita interiore si producesse una crepa sottile
attraverso la quale ci potessimo riversare, inebriati, su tutta l’esuberanza
della vita fuori di noi mentre stiamo vivendo l’egoismo più sfrenato”. Oppure,
siamo sempre nella stessa pagina 30: “Colui che ama si sente potente e capace
di sfidare il mondo intero, come se lo avesse conquistato tramite questa intima
unione di se stesso con qualcosa che lo
attraeva quale quintessenza di tutte le più belle, diverse possibilità del
mondo”. L’erotismo coniuga “l’egoismo con l’essere sociale (con l’essere
totale): è l’unica funzione che “coinvolge tumultuosamente l’intimo di tutta la
persona, implicando al massimo l’intero suo essere” – come solo, oltre a esso,
sa operare il cervello, “questo rampollo molto più giovane, tardivo, tenero
nello sviluppo” (35). Dell’erotismo “l’effetto più benefico sta nel fatto che
favorisce uno sviluppo più ampio e libero del nostro sé e un libero gioco delle
nostre forze; mentre sono ben altri sentimenti, molto meno personali e
colorati, a ridurre il sé di una persona a causa di un altro – per esempio la
compassione, il senso del dovere, la stima” (52).
L’egoismo è inderogabile: “L’amore dura
finché ognuno resta se stesso nella coppia” (54). La “forza amorosa” si lega “alla
morte in tutti quei punti in cui non si dimostra fertile per la nostra vita
interiore” (62). Che è una tautologia – la caduta dell’interesse, della
curiosità viva – ma non del tutto: “Il segno più pertinente e inalienabile di
ogni amore è un eterno rimanere estranei nell’eterna vicinanza” (70). Nel
rapporto con Rilke l’amore si era precisato come amore di sé, il primo
preliminare: la “celebrata lotta dei sessi” nasce, a
letto, “in quell’egocentrismo acuto, in cui la donna sembra sopratutto donna e
l’uomo uomo”. Non dal rapporto, ovvero sì, ma con se stessi: “Nell’amore
diveniamo «dono», ci diamo a noi stessi”. E ancora, con Lullo, l’amore cortese,
il due in uno e viceversa: “«Dandoci» noi ci «otteniamo». È solo qui che c’è
amore, creazione, un compimento naturale e il culto del divino”.
Il
corpo è conservatore
Poi c’è il corpo. Il corpo è il “terzo”
nel rapporto. Che si anima “comicamente” per il mondo animale, anche per gli
esseri umani – che un tale coinvolgimento si risolva nell’atto. Per gli adolescenti
anche dolorosamente: il “pudore iniziale” non è solo inesperienza o
pregiudizio, è anche “spontaneo”, di chi l’“estremo coinvolgimento affettivo”,
questa esperienza rivoluzionaria, si ritrova a doverlo svolgere a letto. “Il
corpo è il potere più conservatore” (68). Perché è tetragono. Ma più perché,
alla fine, “l’amore è sia la cosa più fisica sia quella apparentemente più
spiritualistica e più superstiziosa che dimora in noi” (70).
Il corpo, Lou chiarirà scrivendo a Freud,
le donne lo sanno, “l’essere corporeo, che separa la cosa dalla cosa, la
persona dalla persona, sta nel «segreto manifesto» di essere per eccellenza il
principio di unificazione dei processi interni e esterni: il nostro corpo non è
nient’altro che la parte di esteriorità più vicina a noi, inseparabile dalla
nostra intimità, dall’identità; ma noi ne siamo anche staccati, al punto che
dobbiamo imparare a conoscerlo, a studiarlo dall’esterno come ogni altro
oggetto”. Uno spettacolo: il corpo “è al crocevia delle pulsioni che ci fanno
rompere l’isolamento, per collegarci a tutte le cose, nell’universale parentela
dei corpi, come se l’universale parentela si conservasse nel nostro essere
fisico, il ricordo primitivo della comune identità, di cui le pulsioni amorose
che ci gettano l’uno contro l’altro sarebbero le vestigia”. Hobbes non
approverebbe, ma è bello pensarlo. “D’altra parte, si sviluppa in ognuno
un’ostilità nei confronti del corpo a seguito della resistenza che oppone la
tendenza all’io proprio”. Insomma, c’è “un rapporto equivoco con l’essere
corporeo”.
Lou
Andreas Salomé, La rivolta dell’eros,
Stampa Alternativa\ Nuovi Equilibri, pp. 118 € 12
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