Borges – Sicuramente
uno dei classici del Novecento, anche alla rilettura. Sicuramente anche
antifascista (antiperonista, antinazionalista), nella vita e nelle opere. Ma
non filocomunista, per questo evitato dal Nobel? Che sia stato filotortura è
infatti un errore, prima che un’infamia. Uno che
ebbe la madre e la sorella, per colpa sua, imprigionate da Perón. Pero diceva
anche “non sono comunista”, e questo è imperdonabile
– non è molto che c’era il delitto di leso comunismo, con pene severissime, Borges è morto nel 1986.
– non è molto che c’era il delitto di leso comunismo, con pene severissime, Borges è morto nel 1986.
Citazione – Serve molto
le dittature – Mussolini ne era maestro. L’ultimo che ne ha fatto uso, il
Presidente Mao, l’ha trovata a un certo punto pericolosa per se stesso, una
sorta di latinorum della rivoluzione. Al punto da vietarne il massimario, il suo
stesso “Libretto Rosso” – anche se non per un senso critico libero, ma per il
silenzio.
“Citare brani è estrarre aculei da un
porcospino”, Marianne Moore di E.Pound, in “Poetry”, 39, ottobre 1931).
Dizione
– Pone la maggiore differenza tra fiction e teatro. Un’altra dizione,
un’altra lingua, un’altra estetica, molto più incisiva, questa, e duratura. Non
c’è una dimostrazione più feconda del potere della retorica che uscire una sera
dal farfugliare televisivo e ascoltare un buon attore, i napoletani per
esempio, Barra, i Servilo, o anche i vecchi, Albertazzi, Poli. Le sonorità, le
rotondità anche, e soprattutto le infinite variazioni del parlato, fino alla
ritenzione del suono stesso, alla parola dei silenzi. La voce è non solo il
fiore della bellezza di Zenone, è anche come dice Montaigne: che fa vedere,
oltre che udire, la poesia.
È un di più o un di meno di verità? È un di più. La
“naturalezza” dev’essere anch’essa pensata e architettata per essere trasmessa:
non c’è comunicazione se non architettata, compreso quella del coatto. Ovvero, c’è anche naturale, spontanea, come
viene agli attori, soprattutto alle attricette, belle ragazze al più, in
televisione, ma allora di nessun impatto, e quindi di nessun significato – se
non quello della bella figliola che, come il calciatore con cui si accompagna,
vuole comparire: non la si desidera, né suscita altre emozioni.
Editoria
– Tornano a moltiplicarsi le incorporazioni,
fusioni, acquisizioni. All’insegna del “più grande è meglio”. Un’economia che
privilegia la dimensione alla qualità del prodotto. Facendo valere la riduzione
delle spese generali e, nel caso dell’editoria libraria, il maggiore peso
specifico sulla distribuzione. Ora sempre più online – il gruppo Mauri-Spagnol
si è molto avvantaggiato della sua piattaforma online Ibs. L’ultima grande
fusone è tra Random House e Penguin, che è quanto dire tra Bertelsmann e
Pearson, i due giganti della comunicazione di cui le due grandi case editrici
fanno parte.
“È l’editoria
senza editore”, ha commentato l’“Economist”, che pure loda la fusione (ma è una
joint-venture, è diverso). “Oggi si
rifiuterebbe Kafka”, ha rincarato il “Nouvel Observateur”. Ma Kafka non era
stato rifiutato anche al suo tempo(Kafka è un autore postumo, è Max Brod,
l’amico che lo “creò” dopo morto)? L’editoria ha poco a che fare con la
letteratura, se non per il fatto che pubblica quaranta-cinquantamila libri l’anno
nelle varie lingue.
Flashback – È il racconto retrospettivo, di cui Omero abbonda.
Ironia - La narrativa riduce ad aneddotica. Oggi
come già nel Seicento, nel tardo Cinquecento, quando pure imperversava. Anche
se lievitata, alleviata, al modo già dell’Ariosto, per una lettura multiforme,
più fantasiosa che critica, esagerata. Ma
buona per gli intervalli: non si cammina senza soste, la libertà è mentale
più che fisica.
Italo
Calvino la dice prova di depressione: lo scrittore italiano è depresso (perché)
quando scherza fa ironia.
Sul
tono irritante del falsetto, specie fra ironici –
fra ironici si sta in guardia, non c’è da fidarsi, neppure di se stessi.
Marx era ironico: per un Witz
avrebbe dato il “Capitale”. Cioè superbo. In tutti i rapporti, anche familiari, il
criterio della verità diventa per lui distacco critico: io e gli altri. È la
forma più esasperata di egotismo, limitare alla misantropia, il fastidio
dell’umana imperfezione.
L’ironia è il suo lato universalmente simpatico, oltre che una grande
dote conoscitiva, socratica. Ma è il virus che ne mina la dottrina. Il
cristiano si riscatta al confessionale, per quanto ipocrita possa la confessione
cristiana essere, il comunista non può pentirsi mai. Pena l’ipocrisia, che è
malvagia. Inoltre, ironizzare porta all’insensibilità, non a più conoscenza. Attraverso
lancinanti ulcere o gialle epatopatie - soffriva Marx di fegato? Vladimir Nabokov
lo vede in aspetto di “traballante e bisbetico borghese in calzoni a quadretti
di epoca vittoriana”, il cui “cupo «Capitale»” è “figlio dell’insonnia e
dell’emicrania” – ma Nabokov ne condivide il sarcasmo, con punte snob perfino
più acute, anche se non sembra possibile.
Italiano
– Si moltiplicano le parole italianate per i modelli
automobilistici, anche di case asiatiche o tedesche. C’è bisogno nell’ipostasi
di parole vocaliche, non si possono fare monumenti verbali consonantici. Ce n’è
bisogno nella comunicazione globale soprattutto in Asia. Dove il consonantismo
inglese è sofferto, è traumatico (tutti i bambini in Giappone studiano l’inglese
a partire dagli otto anni, ma a 15 o 20 pochissimi ne sanno articolare sia pure
le parole più semplici, se interpellati rischiano di soffocare, il suono gli si
ferma alla glottide).
Delle case tedesche è Volkswagen che adotta i nomi
vocali, avendo il suo maggior mercato in Asia. Ma in lingua tedesca ci sono già
i precedenti del Settecento, i Tamino, le Pamine, e dello stesso Wagner: il
tedesco pure ha bisogno di nomi con molte vocali per poterli cantare – cantare (in
qualche modo) melodiosamente.
Natale
– Si
moltiplicano nel Millennio i “Racconti di Natale”, di scrittori, giornalisti,
perfino calciatori e attori. Tutti tristi, tutti contro, quella che voleva
essere una festa della vita e della gioia. Ed è una festa religiosa: tutti
contro anche la religiosità della festa, appellandosi a saturnali romani. Per
una rivalsa personale più che per il senso epocale della crisi – della crisi
dell’Europa: in alcuni casi sono stati gli immigrati asiatici a chiedere la
festa di Natale, contro le insegnanti.
Romanzo - Una costruzione comunque artefatta, e
non necessariamente narrativa – o non è al contrario: l’attrattiva del romanzo
è che è “vero” pur essendo totalmente falso? È la pregiudiziale di Borges, che
lo ha evitato con spirito polemico, pur rifuggendo dalla polemica e leggendo assiduo
romanzi. Borges è più per l’idea, in un punto, con un personaggio, le tre unità
aristoteliche trovano le uniche “naturali”. Magari corredata dall’“invenzione
circostanziale”, cucita addosso. Per cui può diventare narrativa anche la vita
ordinaria (attività, conversazione). Mentre il romanzo è “capriccio laborioso e
immiserente” (prefazione al “Giardino dei sentieri che si biforcano”).
Traduzione –
Il gioco di parole e il refuso si limitano a traduttore-traditore. Traduzione-tradizione
è più facile, e sarebbe più giusto.
letterautore@antiit.eu
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